lunedì 30 luglio 2012

Perché San Paolo sta con Assad di Giulio Meotti


In Siria gli islamisti cacciano i “cani cristiani”. I vescovi si aggrappano al regime e temono di fare la fine delle chiese russe nel 1917. E’ guerra confessionale nella culla del cattolicesimo

I cristiani di Siria credono che la regione di Homs sia protetta dalla Vergine. La chiesa di Umm al Zunnar, che sorge nell’epicentro più sanguinoso della guerra civile siriana, ne custodisce la sacra cintura. La reliquia fu scoperta nel 1953, nascosta sotto l’altare. Secondo la tradizione, la cintura era stata portata in India da san Tommaso, per poi essere ricondotta in Siria nel 394 assieme ai resti dell’apostolo. Ma quella che un tempo era una delle città simbolo del cristianesimo di san Paolo si è svuotata dei cristiani. Numerose agenzie di stampa cattoliche ma non solo, a cominciare dalle ong dei diritti umani, parlano di “esodo di massa dei cristiani” da Homs, dove i guerriglieri islamisti che guerreggiano con il regime di Bashar el Assad hanno usato i cristiani come scudi umani per proteggersi dalle cannonate dell’esercito.
Il prete ortodosso Masimox al Jamal ha denunciato che soltanto “cento cristiani” restano a Homs. “I ribelli hanno ucciso duecento cristiani, comprese famiglie intere con bambini piccoli”, ha detto un prelato al Barnabas Aid, che da decenni si occupa delle persecuzioni anticristiane nel mondo. Il battaglione islamico al Faruq, affiliato al Free Syrian Army, braccio militare dell’opposizione al regime, avrebbe imposto la Jizya ai cristiani che vivono nelle zone che si trovano sotto il loro controllo (è la tassa che all’epoca del califfo l’islam faceva pagare alle minoranze, i “dhimmi”).
A giugno diecimila cristiani hanno lasciato la città di Qusayr in nome di una pulizia religiosa imposta con un ultimatum dai fondamentalisti islamici. “Cristiani, lasciate Qusayr entro sei giorni”, recita un editto distribuito dalle moschee della città e riportato anche dalla agenzia di stampa del Vaticano, Fides. A Qusayr sono rimasti appena milla cristiani degli originari 90 mila.
Elizabeth Kendal ha scritto un report per il Religious Liberty Prayer Bulletin: “138 mila cristiani hanno lasciato Homs, dove le chiese sono state occupate dalle forze ribelli. Per i jihadisti, i cristiani che rifiutano di sostenerli vanno torturati, espulsi o uccisi”. L’agenzia Fides riporta dell’ultima esecuzione ai danni dei cristiani. Il gruppo islamico ribelle Brigata dell’islam ha fermato l’auto di un ufficiale cristiano, Nabil Zoreb. Ha fatto scendere la moglie, Violetta, e i due figli, George e Jimmy, e li ha giustiziati sul posto. “Questo spiega la diffidenza dei cristiani verso l’opposizione al regime”, ha scritto Samir K. Samir, gesuita libanese e islamologo molto vicino a Papa Benedetto XVI. “L’opposizione, che all’inizio era contro la dittatura, la tortura, l’ingiustizia e a favore dei diritti umani, poco a poco ha virato verso la tendenza radicale islamista (Fratelli musulmani e salafiti) per divenire alla fine una lotta fra due tendenze musulmane: sunniti e sciiti. Fra due mali – la dittatura laica baathista e la dittatura religiosa wahabita) – i cristiani preferiscono la prima, che essi conoscono già e con la quale cercano di convivere da tempo”.
Ecco spiegato perché nello spettacolare attentato che dieci giorni fa ha decapitato la cupola militare di Assad, il ministro della Difesa rimasto ucciso, Daoud Rajha, dunque l’uomo che per dieci mesi ha gestito la repressione dell’insurrezione, apparteneva alla minoranza cristiana. La nomina di un cristiano alla guida della Difesa era stato un fatto storico, visto che l’ultimo capo di stato maggiore cristiano era stato il generale Youssef Chakkour nel 1973.
Un documento appena diffuso dal Patriarca melchita Gregorio III Laham, leader della più numerosa comunità cattolica presente in Siria, ha cercato di difendere i cristiani dall’accusa di connivenza con la nomenclatura di Assad. “Lo stato non ha mai rivolto ai pastori una indicazione o un invito a fare una qualche dichiarazione o ad adottare una qualche posizione”, recita il testo. Il patriarca Gregorio denuncia una “campagna condotta contro i pastori delle chiese in Siria”, accusati di collusione con il regime.
Nella comunità cristiana, che rappresenta il dieci per cento della popolazione, scrive il Christian Post, molti pensano a emigrare, temendo, nel caso di una caduta di Assad, che questi venga sostituito da un regime islamico e che cresca l’intolleranza, come in Egitto e Iraq. Samer Lahham, direttore dell’ufficio ecumenico del patriarcato ortodosso di Damasco, ha detto che “i cristiani temono che ci sia un piano per trasformare la Siria in un sistema religioso”.
La Siria è una culla della cristianità, qui vennero a predicare san Paolo e san Barnaba direttamente da Gerusalemme. L’ex persecutore di cristiani proprio lì ha iniziato a “proclamare Gesù Figlio di Dio” nelle sinagoghe. Dopo Betlemme, Nazareth e Gerusalemme, i più importanti luoghi di pellegrinaggio si trovano in Siria: posti come il santuario rupestre di Santa Tecla, o il santuario di Nostra Signora di Saidnaya, che conserva un’icona attribuita a san Luca. La Siria oggi è al settanta per cento islamico-sunnita, ma è da alcuni decenni governata dalla minoranza sincretista alawita (dieci per cento) di cui fa parte Assad, e all’interno dell’opposizione armata è preponderante il ruolo dei Fratelli Musulmani. Uno scenario islamico che preoccupa anche i curdi. Per il leader del Consiglio nazionale curdo Sherkoh Abbas, i Fratelli musulmani vogliono instaurare al posto di Assad “un regime islamico”, senza spazio per le minoranze. Per questo i cristiani, con le loro comunità e i vescovi, restano nei ranghi dei sostenitori del regime di Assad, i cosiddetti “mnehbbkyeen”, i “ti amiamo”. L’arcivescovo maronita Samir Nassar dice che “molte famiglie cristiane, terrorizzate, pensano solo a come lasciare il paese. Decine di cristiani a Homs sono stati usati come scudi umani. Hanno chiesto di lasciare il quartiere ma le fazioni dei ribelli l’hanno impedito”.
I proclami degli islamisti non lasciano spazio ai dubbi. Adnan al Aroor, sceicco esiliato in Arabia Saudita e fra i leader della rivolta anti Assad, ha incitato i seguaci, attraverso appelli e sermoni, a “fare a pezzi, tritare e dare in pasto ai cani” la carne dei cristiani, bollati come “collaborazionisti”. Hassan Harba, un capo sunnita della ribellione, ha detto che “tutti gli alawiti vanno massacrati”. E i cristiani? “Gli informatori vanno eliminati”.
Belajia Sayaf, madre superiore di Maalula, antico villaggio cristiano a una quarantina di chilometri dalla capitale Damasco, ha attaccato “l’occidente che arma la mano dei fondamentalisti islamici decisi a distruggere secoli di pacifica convivenza tra le religioni e le minoranze siriane. I cristiani se ne vanno, a migliaia. Hanno paura. Non vogliono tornare nelle catacombe”. Gli sfollati raccontano che a Hama quasi tutti i ventimila cristiani sono stati cacciati dagli islamici. Anche Paolo Dall’Oglio, italiano gesuita fondatore della comunità monastica di Mar Musa, ha dovuto abbandonare dopo trent’anni il suo colle a nord di Damasco.
Nei quartieri misti delle città dove impazza la guerra civile, l’ottanta per cento dei cristiani sono partiti e si sono stabiliti presso amici o parenti nelle regioni cristiane, spesso nei rifugi sulle montagne. Il paese si è spaccato attorno alle linee confessionali. Musulmani sunniti non entrano più nei quartieri alawiti e viceversa.
Uno slogan della resistenza anti Assad promette scenari poco edificanti: “I cristiani a Beirut e gli alawiti al muro”. C’è persino chi ricorda che nel 1327 gli alawiti furono colpiti dalla famosa fatwa emessa da Ibn Taymiya, fondatore dell’islam wahabita, che li definì “più infedeli dei cristiani e degli ebrei”, incitando i musulmani alla guerra santa contro di loro (la persecuzione contro gli alawiti durò secoli e terminò solo con la dissoluzione dell’impero ottomano dopo la Prima guerra mondiale).
Alcuni giorni fa, parlando all’agenzia di stampa cattolica Asia News, Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico di Aleppo, ha denunciato il jihad proveniente dai paesi limitrofi: “Ci sono forze straniere che non vogliono la pace in Siria. Il paese è ormai preda di guerriglieri provenienti da Tunisia, Libia, Turchia, Pakistan e altri stati islamici. Armi e denaro passano attraverso i confini e alimentano questa spirale di violenza”. Per questo George Louis, prete cattolico della parrocchia di Qarah, presso Homs, ha chiamato gli islamisti “vampiri che uccidono in nome di Dio”.
Cresce la paura tra i cristiani di Damasco, dove cominciano a circolare delle “liste di proscrizione”. “C’è il pericolo che si apra la stagione delle vendette e che i civili di Damasco siano trattati come ‘traditori’ perché non hanno preso parte attiva alla rivoluzione”, si legge in un’altra notizia, giunta sempre tramite Fides.
“Se la situazione peggiora in Siria, se dovesse emergere un regime più duro di quello attuale, come un regime dei Fratelli musulmani, saranno i cristiani a pagarne il prezzo più alto, in termini di massacri o di esodo”, ha scandito il patriarca della chiesa cattolica maronita, Bechara Rai.
Se è vero che alcune personalità cristiane di spicco sono passate all’opposizione (da Michel Kilo a Fayez Sara) e che intellettuali cristiani denunciano “l’eccessiva identificazione delle chiese con il regime”, tutti i capi delle antichissime comunità cristiane sono fra i maggiori sostenitori del regime di Assad, anche nell’ora più cupa della repressione. Alcuni di loro invitano alla prudenza, temendo l’accusa di “collaborazionismo” e l’eventuale caduta del regime. Il Figaro ha riferito di omelie domenicali nelle chiese in cui i prelati invitano i fedeli a sostenere il regime. E non sono soltanto gli ortodossi ad appoggiare apertamente Assad. “Il presidente è una persona di grande cultura”, ha detto Gregorios Elias Tabé, arcivescovo cattolico di Damasco, che chiama “terroristi” i ribelli anti Assad.
I cristiani, all’ignoto, preferiscono un regime fondato sulla forzata laicizzazione della vita pubblica, ereditata dal sistema mandatario francese, e l’azzeramento delle discriminazioni su base religiosa. Insieme al Libano, la Siria è oggi l’unico paese arabo dove l’islam non è religione di stato e la religione non è riportata sulle carte d’identità. Nei censimenti ufficiali non si fa cenno all’appartenenza religiosa. Soltanto i documenti dello stato civile ne fanno menzione, il che ha il vantaggio di mettere i cristiani al riparo dalle disposizioni della sharia e costituisce una delle ragioni per le quali si trovano abbastanza a loro agio sotto quel regime.
A spiegare il dilemma cristiano è stato il professor John Myhill, che ha scritto un paper per il centro studi israeliano Besa della Bar Ilan University. La sua tesi è che in un medio oriente dominato demograficamente e culturalmente dall’islam sunnita, alawiti, cristiani e perfino ebrei siano dei partner naturali.
Quando nel 2000 Hafez al Assad, padre di Bashar, passò a miglior vita, il patriarca ortodosso Ignatius Hazim ordinò alle chiese di far suonare a lutto le campane. Già Assad padre aveva molti cristiani fra i consiglieri (Gebran Kuriye per la politica interna e Assad Elias per quella estera). “I cristiani stanno con Bashar el Assad”, ha detto Yohana Ibrahim, arcivescovo siriaco di Aleppo. Il vescovo ausiliare Luqa Khoury ha persino organizzato show ecumenici a favore del regime. “Se Assad verrà rovesciato, i cristiani saranno a rischio”, ha avvertito Mtanius Haddad, apocrisario del patriarca Gregorio.
La Siria ribolle di odio religioso represso dal regime. A Hama, una città della vallata dell’Oronte, dal 2 al 28 febbraio 1982 circa dodicimila uomini delle truppe scelte tra i ranghi alawiti, agli ordini diretti del presidente Assad, sterminarono un numero ancora imprecisato di fondamentalisti islamici con le loro famiglie. Quanti? Le valutazioni dicono venticinquemila persone. A Damasco lo presentavano come un test vitale per il regime.
A far scattare il massacro fu l’attacco degli islamisti alle sedi del Baath e l’eccidio, in stile algerino, di una intera famiglia, fra cui donne e bambini, sulle rive del fiume. Il 3 febbraio 1982 le moschee invocarono un jihad contro gli Assad, definiti “infedeli”. Il regime rispose ordinando l’eccidio dei “Fratelli musulmani, i Fratelli criminali, i Fratelli corrotti”. I cristiani si schierarono con gli Assad nel massacro e sanno che i sunniti potrebbero prendersi la loro vendetta. Per questo il motto ripetuto oggi dai cristiani siriani parla chiaro: “Possiamo essere governati dall’esercito o dal turbante”. O per dirla con Gabriel Matzneff, scrittore russo-francese: “Se vincessero i fondamentalisti musulmani, avremmo la fine del patriarcato d’Antiochia, ossia della chiesa ortodossa siriano-libanese, una duratura guerra civile e, senz’altro, sul Golan, eventi torbidi e sanguinosi”. Il New York Times ha appena riferito che una delle ragioni principali, oltre agli interessi strategici ed economici nell’avere un porto sul Mediterraneo, in grado di spiegare l’appoggio di Mosca al regime di Assad è la posizione intransigente della chiesa ortodossa. Quando ha dovuto giustificare l’appoggio a Damasco e spiegare che fine farebbero i cristiani se al posto di Assad prendessero il potere gli islamisti, il Patriarca russo Kirill I ha evocato niente meno che la rivoluzione bolscevica del 1917, con le sue sterminate “carcasse di chiese”.

Nessun commento: