domenica 24 gennaio 2016

Personaggi storici: Carlo Decristoforis, patriota e scrittore, autore di "Che cosa sia la guerra" (1824-1859)


Maggio 1859, seconda Guerra d'Indipendenza, Garibaldi con i suoi cacciatori delle Alpi opera all'estrema sinistra dello schieramento franco-piemontese con il compito di «agire sulla destra al lago maggiore nel modo che meglio crederà». È necessario attirare l'attenzione del nemico verso una zona marginale distraendo una parte delle sue forze, ma anche suscitare ed alimentare l'insurrezione popolare sul fianco e nelle retrovie del nemico.
L'insperata autonomia e l'ampia libertà d'azione consentono a Garibaldi di spingersi arditamente in avanti. In pochi giorni superato il Ticino a Sesto Calende, penetra in Lombardia, con diversi giorni di anticipo rispetto alle forze franco-piemontesi.


Arrivo dei Cacciatori delle Alpi a Sesto Calende il 23 maggio 1859 
(Eleuterio Pagliano 1865 - Museo del Risorgimento, Varese)

Il 26 maggio dopo aspri combattimenti i garibaldini entrano in Varese e la mattina del 27 si apprestano ad attaccare Como, presidiata da ingenti forze austriache. Queste ultime, guidate dal Gen. Urban, sono schierate lungo la strada che porta alla città, con l'ala destra appoggiata ad una altura sulla quale è situato l'oratorio di San Fermo.
La manovra concepita da Garibaldi prevede di impegnare frontalmente la collina con alcune unità, tentando nel contempo l'aggiramento con altre forze. La compagnia guidata dal Capitano Carlo Decristoforis(1), già distintasi nei giorni precedenti, è la prima a sferrare l'attacco, ma viene falciata dal fuoco nemico ed è costretta a ripiegare, lasciando sul terreno numerosi caduti fra i quali lo stesso capitano.


La battaglia di San Fermo 27 maggio 1859 - Gerolamo Induno 1860

La seconda ondata, guidata dal ten. col. Giacomo Medici(2) «l'eroe del Vascello», riesce ad avere ragione delle forze schierate sulla collina mentre le azioni aggiranti degli altri reparti costringono l'intera linea difensiva austriaca a ritirarsi. La sera stessa Garibaldi entra trionfalmente in Como, fra grandi dimostrazioni di giubilo della popolazione. Circa tre mila uomini armati malamente e privi di artiglieria riescono a sopraffare, costringendoli alla ritirata, ottomila uomini dotati di armi moderne con 16 pezzi di artiglieria e con due squadroni di cavalleria.


Garibaldi entra in Como - Stampa del 1892

L'indomani, commemorando i caduti, il Generale così si esprime descrivendo il valoroso capitano Decristoforis: «In ogni incontro sostenuto dai nostri Cacciatori fu sempre ammirato per la sua bravura, sangue freddo e capacità molto al di sopra dell'età sua. Dai suoi profondi conoscimenti dell'arte (militare) che l'adornavano, era facile dedurre che egli sarebbe riuscito un brillante ufficiale superiore».


Corpo di Decristoforis fotografato nell'ospedale di Sant'Anna a Como

L'eroica figura del giovane capitano, caduto mentre guidava con impeto i suoi garibaldini all'assalto alla baionetta, rimase impressa nella memoria del grande condottiero, il quale molti anni dopo così lo ricordava «Se gli italiani potessero essere sempre comandati da ufficiali come lui le armi nostre sarebbero temute e rispettate dai nostri nemici».
In anni più recenti lo storico Piero Pieri rievocava l'episodio della morte del Decristoforis: «Così era morto per la Patria a trentaquattro anni il patriota che rappresentava in Italia la maggior mente di teorico dell'arte militare, sacrificato in un attacco frontale sanguinoso, mentre grandi servigi avrebbe ancora potuto rendere all'Italia e al suo nascente esercito». (Guerra e politica, Mondadori, 1975, p.160)


*

Immagine tratta da "Che cosa sia la guerra" 
edizione Ufficio storico S.M.R.E. 1925

Carlo Decristoforis nasce, suddito austriaco, a Milano il 20 ottobre 1824. Nel 1847 si laurea in giurisprudenza a Pavia. Negli anni trascorsi nell'ateneo pavese i suoi sentimenti di italianità si rafforzano e comincia a sviluppare sempre maggiore interesse per i problemi politici e sociali di quel tormentato momento storico.

Rientrato a Milano si trova ben presto coinvolto in pieno negli avvenimenti delle Cinque Giornate e partecipa con entusiasmo  ai combattimenti sulle barricate, lottando fianco a fianco con Luciano Manara(3), per la conquista di Porta Tosa. Cacciati gli austriaci da Milano, si unisce a quest'ultimo e alla sua legione di volontari e partecipa alle operazioni in Trentino. La sconfitta dell'esercito sardo e il ritorno degli austriaci a Milano costringono i volontari lombardi ad abbandonare la lotta.



Giacomo Mantegazza - Cinque Giornate di Milano: Barricate mobili a Porta Tosa

La delusione e lo sconforto per questo insuccesso lo dissuadono dal partecipare agli eventi del 1849 ed essendo intimamente persuaso che la causa principale della sconfitta andava ricercata nella scarsa preparazione militare, decide di dedicarsi agli studi politici e militari, trascurando la carriera giuridica. Secondo Lui l'Italia necessita di «ufficiali intelligenti che sappiano che cosa sia la guerra».
La morte dell'amico Luciano Manara, caduto per difendere la Repubblica Romana, gli crea dei rimorsi per essersi estraniato dalla lotta e riprende a frequentare gruppi clandestini di simpatie mazziniane. Nonostante ne avesse previsto l'insuccesso prende parte al velleitario tentativo insurrezionale del 6 febbraio 1853 a Milano. Sfuggito miracolosamente all'arresto si rifugia prima in Svizzera poi in Francia. Qui, grazie ad alcune influenti conoscenze, nel novembre 1853, riesce ad essere ammesso, come allievo esterno, alla prestigiosa Scuola Imperiale d'Applicazione di Stato Maggiore di Parigi. Dopo quindici mesi di studi molto impegnativi ottiene il brevetto di idoneità alle funzioni di ufficiale di stato maggiore.
In quei giorni è in pieno svolgimento la Guerra di Crimea ed egli anela a prenderne parte, ma sia i francesi che i piemontesi non lo ammettono nelle loro fila, forse per i suoi trascorsi insurrezionali.
Solo nel 1859 la sua ansia di combattere viene accolta ed entra a far parte col grado di Capitano dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi.



Carlo Decristoforis in uniforme di Capitano dei Cacciatori delle Alpi (maggio 1859)

I suoi desideri e le sue speranze sono esauditi, finalmente può battersi per l'amata Patria: purtroppo però il suo sogno di entrare in Milano liberata alla testa della sua compagnia si infrange sulle pendici della collina di San Fermo.
In tutti questi anni egli ha continuato a scrivere ed il suo libro sull'arte militare ha perso forma definitiva con il titolo Che cosa sia la Guerra.

Solo cinque giorni prima di morire, forse presago del destino che lo aspettava, invia ad un amico il manoscritto del suo libro: «Ti mando il libro militare che ho portato meco per sbaglio, conservalo bene e pensa alla stampa di esso».
L'amico provvederà, l'anno successivo a dare alle stampe quella che sarà la più importante opera di carattere militare scritta da un italiano nel XIX secolo.
Dopo l'Unità d'Italia l'opera ebbe una larga diffusione: tre edizioni in poco più di trent'anni. Studiata nelle Accademie, venne ripetutamente citata dagli studiosi italiani.
L'idea centrale dell'opera del Decristoforis è che tutta l'arte militare è retta non già da un certo numero di principi, ma da un principio unico, la vittoria è decisa dall'urto della massa, il quale genera tutti gli altri che si trovano in esso implicati e ne diventano altrettante modalità. Da ciò ne deriva che la Strategia è l'arte di condurre in massa l'esercito combattente sul punto decisivo. Una rivalutazione della concezione strategica di Napoleone, all'epoca dimenticata.

Per approfondire, si consiglia:
Carlo Decristoforis: Che cosa sia la guerra, S.M.R.E.-Ufficio Storico, Roma,  1925, 
Nicola Marselli, La Guerra e la sua Storia, vol. II, Enrico Voghera editore, Roma, 1902,
Piero Pieri, Guerra e Politica, A. Mondadori, Milano, 1976,
Ferruccio Botti, Il Pensiero Militare e navale Italiano dalla Rivoluzione Francese alla Prima Guerra Mondiale (1789-1915), vol. II (1848-1870), S.M.E.-Ufficio Storico, Roma, 2000.

(1) Decristoforis o De Cristoforis, tutto attaccato o staccato, dilemma che perseguita da una vita anche me, avendo un cognome simile. Nelle varie edizioni della sua opera principale il nome compare tutto attaccato, in molte altre fonti appare staccato. Io mi sono attenuto alla prima versione.
(2) Giacomo Medici (1817-1882), eroica figura di soldato che dedicò la sua intera vita alla causa della libertà, non solo in Italia. Dopo aver combattuto in Spagna contro i Carlisti e in America e poi in Italia con Garibaldi, divenne famoso, durante la Repubblica Romana del 1849, per l'eroica difesa della Villa del Vascello, fuori le mura di San Pancrazio. Dopo la campagna del 1859 sempre con Garibaldi, fu uno dei protagonisti, col grado di Colonnello, della Spedizione dei Mille. Nel 1862 entrò nel Regio Esercito con il grado di Tenente Generale e nella terza guerra d'Indipendenza del 1866 si distinse al comando di una divisione ottenendo la Medaglia d'oro e l'Ordine Militare di Savoia. Conclusa la carriera militare fu prima deputato poi dal 1870 Senatore a vita. In riconoscimento del suo valoroso comportamento nella difesa del Vascello, gli venne concesso di modificare il cognome in Medici del Vascello, da tramandarsi anche ai successori.
(3) Luciano Manara (1825-1849). Compiuti gli studi liceali a Milano, acquisì una discreta cultura militare frequentando le lezioni della Scuola di marina a Venezia. Fra il 1840 e il 1846 soggiornò a lungo in Germania e in Francia. Vicino alle posizioni di Carlo Cattaneo, durante le Cinque giornate di Milano fu a capo del drappello che conquistò Porta Tosa permettendo l’ingresso in città agli insorti provenienti dalle campagne. In questa occasione emersero con chiarezza le sue notevoli capacità organizzative e la sua attitudine al comando. Scoppiata la guerra tra Piemonte e Austria, organizzò un corpo di bersaglieri con cui combatté nel Trentino e in Lombardia. Dopo la sconfitta di Custoza, riparò in Piemonte dove ebbe l’incarico di organizzare un battaglione di bersaglieri con cui, una volta riprese le ostilità, si distinse a Gravellona e a La Cava sul Ticino (1849). Superando la sua diffidenza verso Mazzini, si recò a Roma assediata dai francesi, partecipò con i suoi volontari prima alla spedizione contro i borbonici a Velletri e poi alla difesa della città. Nominato colonnello e capo di stato maggiore da Garibaldi, morì,  a soli 24 anni, a Villa Spada mentre guidava un ultimo assalto contro le truppe francesi. 

martedì 12 gennaio 2016

Personaggi storici: Karl Ludwig August von Phull (1757 -1826)





Tutti coloro che hanno letto, almeno una volta, Guerra e pace di Tolstoj si sono imbattuti in questo personaggio all'interno di quell'ambiente un po' surreale di consiglieri vari che circondavano lo zar Alessandro I a Vilna nelle settimane antecedenti l'invasione napoleonica. Spesso nelle varie edizioni, però, il nome compare diverso, anziché Phull si trova Pfuel, Full, Pfull, Pfühl, differenze dovute, in prevalenza, alla traduzione dal russo a causa della diversa traslitterazione della grafia del nome Phull in cirillico: Пфулъ.
Non è stato possibile trovare nessuna immagine relativa al personaggio. In alcuni siti viene erroneamente indicata una immagine che si riferisce invece a Ernst Heinrich Adolf von Pfuel (3 November 1779 – 3 December 1866) generale prussiano che ricoprì, sempre in Prussia, anche l'incarico di ministro della guerra e primo ministro. L'errore probabilmente  si deve attribuire al citato problema della diversa grafia del cognome.
Clausewitz conosceva bene Phull in quanto, prima, lo aveva avuto come insegnante alla Scuola Ufficiali di Berlino, poi, quando nel 1812 lasciò la Prussia per andare a combattere con i Russi contro Napoleone, lo ritrovò come consigliere militare dello Zar e per un primo periodo gli fece anche da Aiutante di Campo.


Nel suo testo dedicato alla campagna di Russia (Der Russiche Feldzug von 1812) ne traccia un ritratto molto pungente. Lo descrive come uno che vive fuori del tempo, avulso dalla realtà contemporanea perso in sterili elucubrazioni militari prive di qualsiasi analisi storica.



Phull era nato da una nobile famiglia a Ludwigsburg nel 1757 nell'allora Ducato di Württemberg. Nel 1774 entrò come sottotenente nell'esercito del Duca, per passare cinque anni dopo con lo stesso grado, nell'esercito del Regno di Prussia di Federico il Grande. Partecipò alla Guerra di successione bavarese 1778-1779 (conosciuta anche come Guerra delle patate Kartoffelkrieg). Nel 1781 venne assegnato allo Stato Maggiore Generale, dove le sue qualità intellettuali vennero apprezzate dallo stesso sovrano. 


Negli anni successivi prese parte alle campagne contro la Francia (1792-1797) combattendo a Valmy, a Kaiserslautem (dove venne insignito della decorazione Pour le Merite, la più alta onorificenza prussiana) e prese parte all'assedio di Mainz.


Nel 1806 aveva raggiunto il grado di colonnello ed era uno dei tre Capi dello Stato Maggiore Generale del re Federico Guglielmo III, assieme Scharnhost e Massenbach (all'epoca lo stato maggiore non aveva un unico capo, bensì era articolato in tre sezioni, ciascuna delle quali si interessava di un possibile eventuale teatro di guerra ed i tre ufficiali citati ne erano i Capisezione).


Dopo la sanguinosa sconfitta prussiana da parte dei francesi ad Auerstadt nel 1806, Clausewitz descrive così la sua reazione:


rideva come un matto per la disfatta dell'esercito ed invece di farsi avanti, nel momento del bisogno, come fece Scharnhorst, per dimostrare le proprie reali capacità e per cercare di rammendare il tessuto lacerato, aggiungendo nuovi fili a quelli in buono stato che erano rimasti, egli dette tutto per perduto e passò al servizio della Russia. (Carl von Clausewitz, Der Russische Feldzug von 1812, Limes Verlag, Wiesbaden, 1953, p. 10, traduz. mia)

Il passaggio al servizio della Russia avvenne in modo, a dir poco, grossolano. Phull, nel 1807, poco dopo il disastro di Jena ed Auerstadt, si trovava in Russia, alla corte dello Zar, per una missione diplomatica in rappresentanza di Federico Guglielmo III, ciononostante non si pose nessuno scrupolo nell'accettare l'offerta dello Zar Alessandro I di entrare nel suo esercito con il grado di Maggior Generale.
Il giudizio espresso da Clausewitz su questo comportamento è abbastanza cattivo:

Se lo Zar avesse conosciuto meglio gli uomini avrebbe, probabilmente, avuto meno fiducia nelle capacità di una persona che aveva abbandonato così rapidamente e con così poco tatto una causa perduta. (ibidem)

Lo Zar Alessandro I, ritratto nell'anno della sua incoronazione (1801)

Nei successivi cinque anni che precedettero l'invasione francese Phull conquistò rapidamente la fiducia dello Zar fino a diventare uno dei suoi più fidati consiglieri in fatto di strategia e di politica.
Fece parte del suo seguito a Tilsit, dove il 7 luglio 1807 (27 giugno per il calendario giuliano) venne siglata la pace con Napoleone. (L'incontro fra i due Imperatori viene raccontato anche in Guerra e pace).

Napoleone riceve Alessandro I sul un pontone il mezzo al fiume Niemen 

Nel 1809 venne promosso Tenente Generale e affiancò il sovrano in ogni attività dello Stato Maggiore Generale ricevendo anche l'incarico di redigere un piano difensivo in caso di attacco francese. Noto anche come "Piano di Drissa".
Quando in previsione dell'attacco francese lo Zar si spostò a Vilna, Phull, che l'aveva seguito, sempre secondo Clausewitz, non trovò un ambiente favorevole:

si era trovato completamente isolato, un estraneo fra tutti quei russi che lo guardavano con invidia, diffidenza e ostilità. Egli ignorava la lingua, non conosceva le persone, non sapeva nulla dell'organizzazione dello stato e dell'esercito, non ricopriva nessun incarico ufficiale, non aveva alcuna autorità, non disponeva né di un aiutante di campo né di un ufficio proprio, non riceveva rapporti né comunicazioni.   (op. cit., p.13)

L'ostilità dell'entourage dello Zar nei suoi confronti si manifestava anche verso il suo piano operativo, oggetto di pressoché unanime disapprovazione da parte dei vertici militari. 
L'idea prevedeva che il grosso delle forze russe ripiegasse fino al campo fortificato di Drissa, in un'ansa della Dvina, mentre il resto delle truppe avrebbe dovuto attaccare le retrovie nemiche.




All'atto pratico l'idea si palesò irrealizzabile a causa della debolezza numerica dell'esercito russo e dell'impossibilità di mantenere il campo trincerato per carenze logistiche e difensive. Questo errore fece vacillare la fiducia dello Zar nei confronti del suo consigliere militare, cosa che lo indusse a passare la totale responsabilità della condotta delle operazioni a Barclay de Tolly, ministro della Guerra e Comandante della I Armata.
Nel novembre del 1812, quando ormai la tragica ritirata dei francesi si stava concludendo, Phull venne inviato in missione diplomatica nel Regno Unito e successivamente in Olanda, dove rimase come Ambasciatore fino al 1821. Ritiratosi in pensione morì a Stoccarda nel 1826.