lunedì 14 ottobre 2013

Raymond Aron: come essere liberali oggi. Parte seconda

Trent'anni fa, il 17 ottobre 1983, moriva a Parigi Raymond Aron, filosofo, sociologo, giornalista, considerato uno più autorevoli intellettuali di orientamento liberale del XX secolo.
Con questo seconda parte di un saggio a lui dedicato vogliamo rievocarne il ricordo. La prima parte può essere consultata qui.
Per capire il pensiero di Aron è necessario ricostruire il peculiare rapporto che egli mantiene con i classici del pensiero sociologico e politico. Il suo atteggiamento di fronte a qualunque problema contemporaneo è quello di chiedersi innanzitutto: come lo avrebbero interpretato i grandi autori del passato.
Questa sua preferenza traspare anche dagli scarsi riferimenti che egli fa, nelle sue opere, alle ricerche contemporanee, limitandosi a citare solo i pochi titoli universalmente giudicati importanti, mentre i riferimenti ai classici sono continui.



Si tratta di una specie di dialogo costante che si sviluppa e si definisce per affinità e opposizioni.
Le prime riguardano essenzialmente Weber, Montesquieu e Tocqueville, che Aron considera i suoi veri maestri; mentre le seconde riguardano, da un lato i maestri del positivismo francese (Comte e Durkheim) e italiano (Pareto) e dall'altro Marx.
Si tratta di scelte che sono coerenti con le posizioni espresse, nella sua principale opera filosofica "L'introduction à la philosophie de l'histoire".

 

La domanda da porsi è: cosa c'è di affine in autori come Weber, Montesquieu e Tocqueville fra di loro e con Aron stesso? Perché Aron si riconosce nelle loro opere?
Si tratta di autori che, nonostante le differenze, a volte rilevanti che esistono fra di loro, utilizzano elementi comuni nei loro metodi di indagine; in tutti e tre troviamo infatti il rifiuto del determinismo, l'avversione per le teorie mono-causali della storia, l'enfasi sulla molteplicità dei punti di vista e sulla complessità dei processi storici, la consapevolezza che la sociologia può individuare solo causalità parziali (ossia specifiche cause di specifici effetti) senza con questo precludersi la possibilità di tentare grandi sintesi: si tratti della ricostruzione di linee generali di tendenza oppure dell'individuazione dei principi di funzionamento delle diverse società storiche.
Vi è inoltre in tutti e tre un interesse particolare per la politica, intesa come dimensione centrale e primaria di qualunque organizzazione societaria, mentre rifiutano categoricamente quell'aspetto della sociologia tendente a risolvere la politica in altro da sé, tendenza che Panebianco in un suo saggio chiama "sociologismo" (1).
In tutti e tre troviamo il tentativo di dare risposte originali, in chiave storico sociologica, a interrogativi posti a suo tempo dalla filosofia politica classica, e questo è stato fatto cercando di collegare l'analisi dei regimi politici a quella della più generale evoluzione societaria.
Vi è infine in tutti una preoccupazione squisitamente politica: il futuro della libertà individuale nella società moderna.
Se confrontiamo queste caratteristiche comuni dei nostri tre autori con quanto detto su Aron nella prima parte, ci si spiega l'affinità che egli sente nei loro confronti.

Max Weber (1864 - 1920)
Per quanto riguarda Weber, troviamo in Aron un costante confronto con il suo pensiero a partire dalle prime opere scritte negli anni trenta, al rientro dal suo soggiorno di studio in Germania; ritengo tuttavia sufficiente ai nostri fini, soffermarci su la valutazione che il nostro fa della sociologia politica di Weber soprattutto ne "Le tappe del pensiero sociologico".
Max Weber appartiene alla scuola di quei sociologi il cui interessamento per la società prende le mosse dall'interessamento che essi hanno per la cosa pubblica. Come Machiavelli, egli è nel numero di quei sociologi che sono nostalgici dell'azione politica e che avrebbero voluto prendere parte alla lotta politica ed esercitare il potere. Sognava di essere uno statista; di fatto non fu un uomo politico, ma soltanto un consigliere del sovrano, naturalmente inascoltato. (2)
Della sociologia politica di Weber Aron evidenzia anche alcuni aspetti meno coerenti. In particolare osserva che mentre elabora quattro tipi azione sociale (razionale, affettivo, tradizionale o religioso e d'interesse) indica solo tre tipi di potere (legittimo carismatico e tradizionale). Questo si verifica in quanto Weber non fa mai una scelta netta fra concetti puramente analitici e concetti semi-storici e pertanto sempre secondo Aron:
le tre forme di potere, che dovrebbero essere considerate come puri e semplici concetti analitici, vengono da Weber investite contemporaneamente, di un significato storico (3) 
e queste difficoltà di ordine scientifico sono determinate dalla pressione dei problemi politici che angustiano Weber:
La sociologia politica di Weber, è inseparabile dalla situazione storica in cui visse. Politicamente nella Germania guglielmina, Max Weber era un nazional-liberale, ma non un liberale nel senso americano e, rigorosamente parlando, non fu neppure un democratico nel senso che francesi, inglesi o americani davano o danno a questo termine. Egli poneva la grandezza della nazione e la potenza dello Stato al di sopra di tutto. (4)
La relazione fra la sua sociologia politica e le sue posizioni politiche discendeva dal fatto che Weber voleva per la Germania un sistema parlamentare di tipo inglese, allo scopo di favorire l'emergere di capi carismatici eletti dal popolo in grado di sottomettere il potere burocratico, eredità negativa lasciata da Bismarck, ed in tal modo assicurare alla Germania quella vigorosa guida politica ritenuta necessaria per avere la meglio nella lotta in atto fra le nazioni tesa a conquistare il prestigio e l'influenza.
Per Aron infine, Weber, a differenza di altri classici, può essere considerato un nostro contemporaneo, in quanto la sua sociologia storica, lontana dalle tendenze prevalenti, ossia la microsociologia empirica à la Parsons (5):
combinando una teoria astratta dei concetti fondamentali della sociologia e un'interpretazione semi-concreta della storia universale, Max Weber si dimostra più ambizioso dei professori odierni. In questo senso appartiene forse tanto all'avvenire quanto al passato della sociologia. (6)
Questo evidente apprezzamento dell'opera weberiana nel suo complesso, non esclude da parte di Aron critiche anche severe; egli prende le distanze dal nazionalismo weberiano e critica per il suo «eccesso di realismo» la visione della politica internazionale legata rigidamente alla "Matchpolitik" (7), così come rifiuta la visione dell'assoluta arbitrarietà nella scelta dei valori, e quella, di ispirazione nietzschiana, dalla inevitabilità del conflitto mortale fra i diversi valori. In sostanza rigetta tutta la visione che Weber ha della storia e del destino umano, considerata esageratamente tragica.
Montesquieu e Tocqueville diventano punti di riferimento del pensiero di Aron, come ci dice egli stesso, non durante il suo periodo formativo, come era avvenuto per Weber, ma molto più tardi; in loro egli trova gli elementi sociologici necessari per farne uno strumento "nazionale" da contrapporre all'altra, più importante tradizione sociologica francese, quella dei Comte e dei Durkheim.
Come ho già detto nella prima parte, egli azzarda un'operazione inusuale, quella di inserire questi due autori fra i padri fondatori della sociologia.

Charles de Secondat, Baron de las Brede et de Montesquieu (1689–1755)

Riguardo a Montesquieu egli sottolinea che la sua opera ha una impostazione "sociologica" in quanto è sua intenzione conoscere scientificamente la società, rendere intellegibile la storia. e per farlo cerca di mettere ordine nel caos degli avvenimenti: 
Montesquieu esattamente come Weber vuole passare dal dato incoerente a un ordine intellegibile. Questo procedimento è quello specifico del sociologo. (8) 
Il suo metodo, storico e comparativo, ha due obiettivi:
1) di individuare le "cause profonde" dei fenomeni, ossia le cause che stanno dietro la superficie della storia e che non vanno confuse con le cause "accidentali;
2) di ricondurre l'infinita varietà degli usi, dei costumi e degli ordinamenti a un limitato numero di tipi.
Questi due obiettivi verranno fatti propri da Aron che nelle sue ricerche farà esattamente la stessa cosa: distinguere le cause accidentali da quelle profonde, e ricondurre l'eterogeneità e la varietà dei fenomeni a un ristretto numero di tipi.
L'affinità non si limita solo a questo; altri aspetti dell'opera di Montesquieu, quelli per cui è universalmente ricordato, riguardano l'attenzione posta ai rapporti fra i diversi tipi di regime politico ed il più ampio ordinamento societario, ed anche l'attenzione posta nel distinguere, valutandoli i diversi ordini politici, e attraverso la loro comparazione identificare le caratteristiche della "buona società". Entrambi questi aspetti saranno fatti propri da Aron nelle sue analisi sulla democrazia liberale sul totalitarismo.


Infine sia Montesquieu che Aron considerano come miglior regime politico quello che «assicura la moderazione del potere con l'equilibrio dei poteri»; Aron così si esprime sull'argomento:
Al di là della formulazione aristocratica della sua dottrina dell'equilibrio dei poteri sociali e della cooperazione dei poteri politici, Montesquieu ha posto il principio secondo il quale la condizione del rispetto delle leggi e della sicurezza dei cittadini risiede nel fatto che nessun potere sia illimitato. Questo è il tema essenziale della sua sociologia politica. (9)

Alexis de Tocqueville (1805 - 1859)

Passando a Tocqueville, Aron sottolinea la sua stretta parentela con l'autore de "Lo spirito delle leggi", ne condivide il metodo che:
comincia col determinare alcune caratteristiche strutturali delle società moderne e passa successivamente a fare il confronto tra forme diverse di queste stesse società (10) 
e ancora:
Tocqueville sociologo appartiene alla schiatta dei Montesquieu: combina il metodo del ritratto sociologico con la classificazione dei tipi di regime e dei tipi di società, e la propensione a costruire teorie astratte basandosi su un piccolo numero di fatti. (11)
In Tocqueville infine egli individua una concezione aperta del divenire storico che si distingue e si distanzia da quella deterministica di Comte o di Marx. La visione di Tocqueville rifiuta le ampie sintesi che nel tentativo o con l'intenzione di prevedere gli esiti storici di fatto sopprimono la storia.


Avendo individuato nella democratizzazione la caratteristica fondamentale dell'età moderna (intesa come tendenza al livellamento, all'uguaglianza delle condizioni) Tocqueville ritiene però che la democrazia possa sposarsi con la libertà (come avviene in America) oppure con il dispotismo (come rischiava di avvenire in Francia); l'esame delle condizioni che portano verso l'uno o l'altro di questi due esiti politici è il problema di Tocqueville e nella sostanza diventa anche il problema ddi Aron.
Con quest'ultimo autore vi è da parte di Aron una affinità anche sul piano del temperamento. Egli infatti non condivide, come abbiamo visto la visione tragica di Weber, e per carattere si sente più vicino a Tocqueville:
con quella sua prosa triste e pacata e con il suo liberalismo senza illusioni. (12).
Passiamo ad esaminare ora quelli che potremmo definire punti di riferimento in negativo del pensiero politico di Aron ovvero Comte, Durkheim e Pareto, e per ultimo Marx.


Auguste Comte (1798-1857)
La critica a Comte si sviluppa attraverso continui confronti fra il suo pensiero e quello di Montesquieu che consentono ad Aron di evidenziare tutti quelli che egli considera i punti deboli dell'opera comtiana. Se per Montesquieu il problema è quello, difficile di ricondurre a unità le diversità, Comte, al contrario, è a detta di Aron: il sociologo dell'unità umana e sociale, dell'unità della storia umana, respinge questa concezione dell'unità fino al punto che, alla fine, la sua difficoltà è quella inversa: gli riesce difficile ritrovare la diversità e dare ad essa un fondamento (13) 
e più avanti egli indica come contraddittoria la volontà di Comte di voler essere al tempo stesso scienziato e riformatore.
Aron individua negli aspetti principali dell'opera comtiana quella forma di "sociologismo" che egli condanna: i punti criticati sono tantissimi, ma ai nostri fini ricordo:
- la critica che Comte fa all'economia politica liberale:
-la svalutazione della politica e dell'economia come sfere d'azione autonome, a vantaggio della scienza e della morale;
- la sua concezione tecnocratica (il fondatore del positivismo appartiene alla scuola di quelli che chiamerei gli organizzatori politecnici) (14)
- la visione provvidenzialistica della storia che secondo Aron sfocia nella metafisica della religione positivistica.
Comte, così come il suo discepolo Durkheim, è un teorico del consenso, mentre secondo Aron:
Montesquieu e Tocqueville assegnano un certo primato alla politica o alla forma di stato, Marx all'organizzazione economica. La dottrina di Comte si fonda sull'idea che ogni società si regge sul'accordo delle menti. Una società esiste nella misura in cui i suoi membri condividono le stesse credenze, (15)
ma le teorie del consenso, invariabilmente finiscono per trattare il conflitto come qualcosa di patologico, di estraneo alla normalità sociale. Così facendo operano con nozioni errate di società e di storia. Anche le tante valide osservazioni che Comte formula sulla "società industriale" finiscono per essere viziate e rese meno efficaci proprio per questi errori di fondo.


Emile Durkheim (1858-1917)

Questo errore viene riscontrato da Aron, in forme assai più sofisticate, in Durkheim. Egli non ha difficoltà a riconoscerne il genio ed anche il grande valore scientifico delle sue opere principali tuttavia, il suo giudizio anche quando sembra essere positivo è velato da una evidente antipatia, che lo stesso Aron non nasconde, infatti egli scrive ne "Le tappe del pensiero sociologico": 
Nel corso di questo studio ho moltiplicato le citazioni, perché diffidavo di me stesso. Provo infatti una certa difficoltà a entrare nel modo di pensare di Durkheim, probabilmente perché non ho la simpatia necessaria alla comprensione. (16)

Egli attacca tutti i principi su cui si fonda la sociologia durkheimiana che non sto qui ad elencare; ricorderò solo la critica alla svalutazione derivazione comtiana, della politica e dell'economia dalla quale Aron parte per colpire l'aspetto che più di tutti non condivide: la concezione durkheimiana della società; una degenerazione che anziché trattare concetti come "ambiente sociale" o "società" come semplici categorie analitiche le trasforma arbitrariamente nelle cause ultime dei fenomeni, ossia secondo Aron:
 Durkheim tende a considerare l'ambiente sociale come una realtà sui generis, oggettivamente e materialmente definita, mentre esso è soltanto una rappresentazione intellettuale. (17)
Si tratta di una reificazione della "società" che porta a una specie di "sociolatria" e che è alla base dell'illusione di poter ricavare imperativi morali dalle analisi sociologiche.


Vilfredo Pareto (1848-1923)
Passando infine a Pareto troviamo, nei giudizi che nel tempo Aron esprime sulla sua opera, una evoluzione che va da una iniziale severa stroncatura negli anni giovanili ad un mutamento di toni che si fanno più pacati e indulgenti anche se nella sostanza il giudizio resta negativo.
Aron giustificherà poi la stroncatura iniziale del 1936, dovuta al clima politico ed alle tensioni prebelliche ed al collegamento esistente fra Pareto ed il fascismo.
La critica più generale all'opera del sociologo italiano è che una sociologia che tende ad occuparsi solo di regolarità di costanti storiche, rischia di perdere di vista ciò che è davvero importante :
si può ritenere [...] che alcune di queste proposizioni sono vere, che si applicano effettivamente a tutte le società e che tuttavia non colgono l'essenziale. In altre parole, ciò che è generale in materia di sociologia, non è necessariamente essenziale, ne è la cosa più interessante o importante. (18)



Un altro aspetto criticato specificamente è li psicologismo di Pareto; dice infatti Aron:
Se la prima parte del "Trattato" (19) mi pare non sufficientemente psicologica, la seconda, invece, mi sembra esserlo troppo. Una simile critica non è un paradosso. Il metodo della prima parte proprio per la sua ambizione di generalizzazione e per il rifiuto di andare sino al sentimento, si ferma alle soglie della psicologia. Ma, nella seconda parte, le élites sono caratterizzate soprattutto dalle caratteristiche psicologiche. Élites violente ed élites astute, predominio dei residui della prima o dei residui della seconda, tutte queste nozioni sono fondamentalmente di natura psicologica. (20)
Infine Aron critica anche il "machiavellismo" di Pareto, visione che egli ritiene un pervertimento del pensiero del segretario fiorentino, che conduce a una forma di cinismo che si ammanta di "realismo" e che invece realista non è. Aron rigetta qualsiasi visione fintamente realista che riduca esclusivamente a puro gioco di potere, a Matchpolitik o power politics.


Karl Marx (1818-1883)

Aron è stato fra i non marxisti uno dei più profondi conoscitori del marxismo, questo grazie proprio alla sua erudizione ed alla poliedricità della sua formazione che gli consentivano di padroneggiare tutti gli strumenti, filosofici, economici e sociologici che la lettura di un autore come Marx richiedono.
Secondo Aron di Marx è possibile fare due usi: un uso critico, che lo stesso Aron condivide, almeno in parte, e l'uso dogmatico che ne fa invece la maggior parte dei marxisti.

Egli sostiene che nell'uso che Marx fa di concetti come forze produttive, rapporti di produzione, lotta di classe non c'è nulla di sbagliato; egli afferma: 
È possibile utilizzare questi concetti in qualsiasi analisi sociologica. Personalmente, se tento di analizzare una società, sovietica o americana, parto volentieri dalle condizioni economiche e anche dallo stato delle forze di produzione, per passare ai rapporti di produzione e poi a quelli sociali. L'uso critico e metodologico di queste nozioni per comprendere e spiegare una società storica, è legittimo, tuttavia, [...] se ci si limita a utilizzare così questi concetti non si trova una filosofia della storia; si rischia di scoprire che a uno stesso grado di sviluppo delle forze produttive possono corrispondere rapporti di produzione diversi. La proprietà privata non esclude un grande sviluppo delle forze produttive; invece la proprietà collettiva può già essere presente quando le forze produttive hanno raggiunto uno sviluppo minore. In altri termini, l'uso critico delle categorie marxiste non comporta alcuna interpretazione dogmatica del corso della storia. (21)
Il problema sorge perché Marx ha collegato la socio-economia della società a una filosofia della storia. Non ha preteso solo di spiegare il funzionamento della società moderna nei suoi aspetti economico-sociali, ha creduto anche di individuare l'esito necessario del suo sviluppo e cioè l'inevitabile autodistruzione finale del capitalismo). L'errore che secondo Aron commette Marx quello di arrivare attraverso un'analisi sostanzialmente corretta, da un punto di vista metodologico, ad una interpretazione del divenire storico che lo spinge verso un approdo dogmatico.



Quindi per Aron anche se Marx fallisce i suoi scopi, le sue analisi restano preziose guide, importanti fonti di ispirazione per l'analista della società contemporanea. Questo a patto che, seguendo l'ispirazione del Capitale, ci si dedichi a studiare ed utilizzare - come Marx faceva con quella del suo tempo - la scienza economica e sociologica del Nostro tempo, cosa che non fa la maggior parte dei marxisti. Questi dice Aron si sono per lo più limitati a chiosare Marx oppure ad applicare dogmaticamente concetti marxiani nella lettura dei fatti contemporanei.
Il rispetto per il filosofo di Treviri, che traspare in ogni pagina di Aron, non ha un corrispettivo nei confronti dei marxisti. Quando parla dei suoi antichi amici parigini, dice : 
[...] ho dedicato allo studio dei meccanismi economici e sociali più tempo di quanto essi non abbiano fatto. In questo mi reputo più fedele di loro all'ispirazione di Marx. (22)
In tutta la sua vita Aron non tralascerà mai di studiare il marxismo e di dedicargli opere polemiche.
Convinto dell'importanza delle ideologie, egli è anche convinto della grande pericolosità per la società occidentale e per i suoi valori dell'ideologia marxista, che egli considera soprattutto un cavallo di Troia al servizio del totalitarismo sovietico.
Pertanto egli si assegnerà il compito di combattere con le armi della critica tutte e due le varianti del marxismo che circolano in Occidente, la variante colta fatta propria da segmenti importanti dell'élite intellettuale, dai circoli accademici della sinistra occidentale, e la variante popolare, la vulgata marxista diffusa in ambienti più vasti.



Il primo tipo di critica lo sviluppa in particolare nell'opera Marxismi immaginari che costituisce una approfondita analisi delle filosofie di moda nei circoli intellettuali parigini, il sartrismo e lo strutturalismo di Althusser. Facendo ricorso alle sue risorse di filosofo, nonché di grande conoscitore di Marx, egli dimostrerà in questo testo tutte le inconsistenze e le ragioni del sostanziale fallimento, dei tentativi, di Sartre e Merlau-Ponty, di dare fondamento esistenzialista al marxismo, e metterà anche a nudo le contraddizioni e i nonsense dello strutturalismo marxista.
Alla seconda variante quella della vulgata marxista, dedicherà molti lavori, fra i quali va ricordato L'oppio degli intellettuali su cui mi sono già soffermato nella prima parte.



In conclusione sempre secondo Panebianco, nell'ideologia marxista Aron vede, in sostanza, una religione secolare, un'eresia millenarista adottata dagli intellettuali per ignoranza e conformismo. Una ideologia che spinge chi l'abbraccia a pensare come compito dell'intellettuale la testimonianza dei buoni sentimenti "dalla parte degli oppressi", anziché la fredda e faticosa analisi della realtà che lo circonda. Il peccato più grave del marxismo intellettuale, per Aron è proprio questo: l'esibizione moralistica che va a scapito dell'intelligenza dei problemi.
Un altro aspetto interessante dell'opera di Aron è quello relativo ai suoi studi di Relazioni internazionali, una serie di opere che ci danno un quadro preciso e dettagliato dello sviluppo dei rapporti politici all'epoca della guerra fredda.
Si tratta di scritti che però non hanno solo un valore storiografico, ma che assumono spesso anche le caratteristiche di "Teoria applicata" cioè tentativi, a volte riusciti, a volte meno, di applicare, con rigore scientifico, ai problemi politici internazionali, le categorie della teoria sociologica e politologica.
Questo interesse per i problemi della politica internazionale e, come vedremo più avanti, per la guerra, viene fatta risalire da Aron stesso, nelle sue Memorie, al periodo della seconda guerra mondiale.
La sua produzione in questo settore in due filoni:
-uno più di tipo giornalistico ,che Panebianco, chiama "storiografia del presente", e che si riferiscono ad analisi di aspetti particolari della politica internazionale o anche interna; ( es: "Il grande scisma" , " Le guerre a catena" o "Speranza e paura del secolo", ecc.)
-un secondo filone invece più sociologico scientifico in cui troviamo l"aron teorico delle Relazioni Internazionali e che comprende opere di grande notorietà e di notevole interesse quali "La società industriale e la Guerra" o "Pace e guerra tra le Nazioni". Quest'ultima è considerata una delle sue opere più importanti, e detta di molti esperti del settore , è, a tutt'oggi, la più importante summa mai scritta sulle Relazioni internazionali.
Si tratta di un libro voluminoso di oltre novecento pagine, la cui illustrazione richiederebbe una esposizione a parte; citerò solo per completezza la sintesi che ne fa Panebianco:
si tratta di un libro che, mentre confuta le interpretazioni allora in voga della New Left intellettuale su questioni come l'origine della guerra fredda, i rapporti politici e economici Stati Uniti-Europa, le cause dell'intervento in Vietnam, il problema dell'imperialismo, etc, rappresenta tuttora un eccellente esempio di ricostruzione storica sulla politica estera nelle sue diverse ma collegate dimensioni, della superpotenza americana in questo dopoguerra. (23)



Clausewitz e la teoria della guerra rappresentano infine il tema che dominerà l'ultima fase del suo lavoro scientifico, studi tendenti ad approfondire il problema della guerra e dei suoi rapporti con la politica.
Lo studio dei problemi strategici relativi all'era nucleare aveva indotto necessariamente Aron ad approfondire la conoscenza di tutti i grandi pensatori militari del passato e fra questi Clausewitz in particolare. Già in Pace e guerra tra le nazioni i riferimenti a quest'ultimo sono numerosi, ma proseguendo negli studi e nelle ricerche sulle questioni strategiche contemporanee, in lui diventa pressante il bisogno di capire se era vero o meno che nell'età nucleare l'affermazione clausewitziana, da tutti citata "la guerra come continuazione della politica con altri mezzi" aveva perso il suo significato.
Nel contempo il teorico della politica è curioso di capire l'originalità di un pensiero che più di ogni altro ha saputo correlare fra loro la guerra e la politica.
Infine il filosofo è attratto da un pensatore che ha dato una dimensione filosofica al problema della guerra generando una vera e propria filosofia militare.



Questa operazione di approfondimento darà vita al già citato Penser la guerre, il suo ultimo capolavoro, che viene pubblicato nel 1976, un anno prima della scoperta di essere affetto dal grave male che sia pur lentamente lo porterà alla tomba.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un'opera di vaste dimensioni che richiederebbe uno studio approfondito che esula dagli scopi di questa relazione. 
Un'opera che ha come punti principali di interesse:
- la volontà di sottoporre a critica tutti i fraintendimenti del pensiero di Clausewitz che si sono avuti nelle dottrine strategiche del XIX e XX secolo;
- l'intendimento di attualizzare Clausewitz, mostrando l'utilità della sua teoria anchce nell'era atomica. Questo aspetto particolare è forse quello più innovativo, in quanto, secondo Aron, la presenza dell'arma nucleare non toglie rilevanza alla teoria clausewitziana, sia per quanto riguarda la formula arcinote del rapporto fra guerra e politica, sia per quanto riguarda la più complessa definizione trinaria della guerra, quella secondo la quale la guerra è un insieme:
- di passioni del popolo che Clausewitz chiama cieco istinto naturale;
- di scelte tattiche del condottiero militare o attività libera dell'animo;
- della ragione politica che usa la guerra per i propri fini e ne condiziona l'andamento o puro intelletto (o pura e semplice ragione).
La fine della guerra fredda e dello spettro della muta distruzione assicurata (MAD), se da una parte fanno ritenere superate queste considerazioni aroniane, non devono farci ignorare la minaccia della guerra convenzionale, animata dal nazionalismo, da uno, cioè dei tre elementi suddetti (le passioni del popolo) e devono indurci a riflettere insieme ad Aron sul pensiero di Clausewitz.


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(1) Angelo Panebianco, Introduzione alla edizione italiana di "Raymond Aron: La politica, la guerra la storia", Il Mulino, Bologna, 1992, p.39
(2) Raymond Aron, Le tappe del pensiero sociologico, Mondadori, Milano, 1972, p. 505
(3) Ibidem, p. 509
(4) Ibidem, p. 511
(5) Talcott Parsons (1902-1979) sociologo statunitense ideatore della teoria generale per l'analisi della società detta "struttural-funzionalista"
(6) Raymond Aron, op. cit., p. 515
(7) Politica di potenza, tipica della Germania bismarckiana
(8) Raymond Aron, op. cit., p. 36
(9) Ibidem, p. 51
(10) Ibidem, p. 213
(11) Ibidem, p. 250
(12) Angelo Panebianco, op. cit., p. 37
(13) Raymond Aron, op. cit., p. 83
(14) Ibidem, p. 94
(15) Ibidem, p. 90
(16) Ibidem, p. 333
(17) Ibidem, pp. 358-359
(18) Ibidem, p. 440
(19) Vilfredo Pareto, Trattato  di sociologia generale, pubblicato in Italia nel 1917 
(20) Raymond Aron, op. cit., p. 440
(21) Ibidem, p. 180
(22) Raymod Aron, Marxismi immaginari, Franco Angeli, Roma, 1977, p. 10
(23) Angelo Panebianco, op. cit., p. 77

domenica 6 ottobre 2013

ISRAELE: La guerra dello YOM KIPPUR (6 ottobre 1973)

Il 6 ottobre di 40 anni fa, alle ore 14,00 iniziava l'offensiva degli eserciti arabi contro Israele, di seguito una sintesi di quegli avvenimenti.

1. Con la vittoria nella “guerra dei 6 giorni” del 1967, ISRAELE era passato da un territorio di 22 mila Km² (equivalenti alla Puglia, ad oltre 100 mila Km² cioè 1/3 dell’Italia.
Nello stesso tempo la popolazione araba inglobata saliva da circa 200 mila ad 1 milione di persone, portando con se un enorme carico d’odio, rancori, vendette ed aspettative frustrate.
2. La risoluzione n. 242 dell’ONU del 22 nov. 1967 che stabiliva il riconoscimento ed il rispetto per la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di ogni stato, fu definita “capolavoro di doppiezza”, in quanto redatta volutamente in termini vaghi in modo da essere accettata da tutti, fu interpretata:
- dagli arabi come l’impegno delle Nazioni Unite ad obbligare ISRAELE ad evacuare tutti i territori ed a far rientrare i profughi palestinesi nelle loro case;
- da ISRAELE come un’autorizzazione a prolungare l’occupazione dei territori conquistati fino al proprio riconoscimento come “STATO” e quindi fino alla pace condivisa da tutti.


Negli Stati Arabi tuttavia, anche a causa delle delusioni patite, iniziò a prendere forza e diventò sempre più diffusa una tendenza che ai giorni nostri è d’estrema attualità: il fondamentalismo islamico.
Il messaggio dell’integralismo religioso, più facilmente comprensibile dalle masse, già mantenute nell’ignoranza e poco permeabili a nuove ideologie, a nuovi modelli di vita, sostenne che gli arabi avevano perduto la guerra in quanto separati dal loro credo, dalla loro fede, e quindi facile preda del nemico.
In questa visione, la debolezza araba era dovuta all’azione paralizzante di false dottrine universalistiche, liberali ed anche marxiste.
Queste dottrine, secondo gli IMAM, utilizzate dagli occidentali per organizzare la loro società, non servivano ai popoli che avevano trovato la loro identità sotto la bandiera dell’ISLAM.
Solo il CORANO che segna l’unica via dettata dal Profeta e che regola la vita umana sotto tutti gli aspetti: civili, giuridici e religiosi consente al fedele musulmano di abbandonarsi alla volontà di ALLAH, il grande e misericordioso e quindi, gli appelli alla lotta contro ISRAELE, prima laicamente anticolonialisti ed antimperialisti diventarono sempre più accesi appelli religiosi alla JIHAD, alla guerra santa.
I Palestinesi, per altro verso, realizzarono che la soluzione del problema di un loro STATO, non poteva essere risolto solo dagli STATI ARABI, profondamente divisi fra loro e sostanzialmente orientati a perseguire i propri interessi nazionalistici; ma che la lotta contro ISRAELE ed i PAESI che lo sostenevano, doveva uscire dal M.O. ed avere una maggiore visibilità, cioè avere per palcoscenico l’ambito internazionale.
3. Da queste considerazioni scaturirono:
1) una più decisa attività diplomatica dell’O.L.P. (Organizzazione per la liberazione della Palestina) che nel 1968 affidò la presidenza dell’organizzazione a YASSER ARAFAT già capo di una delle sue frazioni “AL FATAH”


2) la conferma nella propria carta costituzionale dell’obiettivo fondamentale della loro lotta: la distruzione di ISRAELE;
3) l’avvio della politica del terrorismo internazionale che produsse dirottamenti aerei, stragi, sequestri dei quali, tanto per citare solo due esempi, l’attentato all’Aeroporto di TEL AVIV da parte di terroristi giapponesi affiliati a “SETTEMBRE NERO” e quello di Monaco di Baviera durante le Olimpiadi del ’72, dove venne massacrata la squadra olimpica israeliana.
La fazione terroristica “SETTEMBRE NERO” una componente di AL FATAH nasceva in ricordo della strage di palestinesi in Giordania nel settembre del 1970.
E’ un episodio che vale la pena di ricordare come l’esempio della difficoltà dei rapporti fra i PAESI ARABI ed i profughi Palestinesi.
Nel 1969, NASSER che non voleva accollarsi il problema dei profughi, spinse l’ O.L.P. a stabilire rapporti politici con HUSSEIN di GIORDANIA.


In breve tempo però i guerriglieri palestinesi accentuarono la loro autonomia in territorio giordano, tanto che diventarono uno stato nello stato, minacciando così la stabilità politica della monarchia hascemita.
4. RE HUSSEIN capì che i Palestinesi lo stavano detronizzando e stava perdendo anche il sostegno delle sue forze armate.
Una mattina in un reggimento carri della sua “LEGIONE ARABA”, all’atto dell’alzabandiera, furono innalzate …un paio di mutande…e non c’erano dubbi sul significato di quel gesto.
A questo punto, RE HUSSEIN, per riprendere in mano la situazione dette un “ultimatum” alle organizzazioni palestinesi di ritirarsi dalle città ed, al loro rifiuto, scatenò una cruenta repressione volta a liberare l’intera GIORDANIA dalla loro presenza.
I combattimenti durarono dal settembre 1970 all’aprile del ’71 causando la morte di oltre 5000 persone (l’80% civili), 10 mila feriti e più di 1000 dispersi.
I Palestinesi cacciati dalla GIORDANIA ripararono in LIBANO ed in SIRIA sconvolgendo anche in questi paesi, il precario equilibrio fra le diverse comunità.
(La strage di SABRA e SHATILA in Libano nel 1982 ad opera dei cristiani maroniti fu solo una delle conseguenze. Nel luglio scorso abbiamo visto in azione palestinesi e sciti Hezbollah).
E ritorniamo a parlare della situazione geopolitica fra Israele e gli Stati Arabi.
5. La guerra dei “6 GIORNI” aveva permesso ad ISRAELE di estendere le condizioni di sicurezza che costituivano lo scopo primario di ogni conflitto affrontato. La politica di ISRAELE dalla sua costituzione nel 1948 è stata sempre quella di tentare di barattare la terra o territori con il suo riconoscimento.
La frontiera con la GIORDANIA era stata ridotta ad una sessantina di Km. lungo il GIORDANO e, se prima della guerra gli egiziani erano ad una cinquantina di Km. da TEL AVIV, adesso dovevano percorrere oltre 400 Km. per colpire la capitale.
Al contrario IL CAIRO distava 12 minuti d’aereo dal nuovo confine del SINAI.
Nella seconda metà del 1969, (mentre in LIBIA un colpo di stato deponeva RE IDRIS ed il potere veniva assunto dal Col. MOHAMMAD EL GHEDDAFI), NASSER, rifornito dalla RUSSIA, abrogava unilateralmente il “cessate il fuoco” del giugno ’67 e dava inizio ad una “guerra di attrito” o “di usura” lungo le sponde del CANALE DI SUEZ.
L’idea del RAIS egiziano era quella che Israele non avrebbe potuto sostenere a lungo un impegno pesante in termini di mezzi e soprattutto di uomini (di cui l’Egitto aveva grande abbondanza) e quindi dopo aver imposto agli israeliani un prolungato logoramento, tentare un attacco in forze.
In realtà si vide poi, che, mentre l’artiglieria egiziana provocava danni relativamente lievi alle linee israeliane, l’aviazione egiziana a furia di prenderle da quella avversaria, era perfino più immiserita rispetto alla fine della guerra dei 6 giorni.
6. Inoltre, nel gennaio 1970, i nuovi aerei israeliani PHANTOM F.4 acquistati negli STATI UNITI, si spinsero in profondità nel territorio egiziano con una serie di azioni, con lo scopo di diminuire la pressione sul CANALE ed ingenerare nella popolazione egiziana un senso di insicurezza tale da spingerla ad invocare un nuovo “cessate il fuoco”.
Questa situazione indusse l’UNIONE SOVIETICA ad intensificare il suo impegno per riarmare l’EGITTO ed accese una diatriba con gli STATI UNITI a proposito della fornitura delle armi ai contendenti.
7. I sovietici accusavano gli americani di fornire ad ISRAELE armi offensive ovvero gli aerei, mentre loro, affermavano, si limitavano a quelle difensive ossia (quelli per abbatterli) i SAM, i missili terra-aria.
In realtà dall’UNIONE SOVIETICA e dai PAESI SATELLITI raggiunsero l’EGITTO, ma anche l’IRAQ e la SIRIA, forniture militari di una quantità mai raggiunta in precedenza, accompagnate, allo stesso tempo, da un numero enorme di consiglieri militari ed istruttori.
Tuttavia i veri problemi per ISRAELE arrivarono col terrorismo palestinese fino ad allora poco più che molesto.
La nuova strategia del terrorismo, come abbiamo accennato, contemplava azioni al di fuori dello stesso ISRAELE, dovunque l’attentato potesse suscitare clamore, risonanza, ed obbligava gli israeliani ad intensificare i propri sforzi per combatterla in campo internazionale, utilizzando uomini e risorse a scapito dell’impegno in ambito locale.
8. Nel del 1970 moriva NASSER ed il potere in EGITTO venne assunto dal più moderato ANWAR AL SADAT,


La situazione però non si modificò anzi l’EGITTO accentuò la propria dipendenza da MOSCA in cambio di sempre più consistenti aiuti militari.
Nel 1972 però anche a causa dell’inevitabile invadenza sovietica ed indispettito dalla preferenza che i russi davano al conflitto indo-pakistano e dalla renitenza a fornire ulteriori carri ed aerei, SADAT finì per espellere i consiglieri russi (circa 15000) i quali andandosene affermarono che il loro compito, quello di rimettere in piedi l’esercito egiziano, si era concluso. (In Sudan un colpo di stato del Gen. NIMEIRI GIAFAR MUHAMMAD portò anche qui all’allontanamento dei consiglieri sovietici e successivamente all’eliminazione fisica del Partito Comunista Sudanese).
La RUSSIA ad ogni modo, aveva appena rinnovato un più stretto legame con la SIRIA e l’IRAQ, che rigurgitavano di propri consiglieri, e quindi conservava agevolmente il controllo dell’area mediorientale.
9. SADAT però sul fronte interno aveva grossi problemi.
L’economia egiziana era disastrata, prostrata dalle spese militari e, paradossalmente, solo una guerra che permettesse agli egiziani di riconquistare la riva orientale del CANALE DI SUEZ (cioè quella del SINAI) e riaprire la via d’acqua fruendo dei pedaggi, poteva risollevarla.
Ed ecco il nuovo orientamento politico che influenzerà anche la strategia militare.
Una guerra. Ma non per l’annientamento di ISRAELE che SADAT sapeva di non essere in grado di condurre; solo un obiettivo limitato: riconquistare una fascia del SINAI di una certa profondità prospiciente al canale.
Tuttavia anche per un obiettivo, così limitato occorrevano una serie di circostanze al momento non disponibili: l’appoggio sovietico per potenziare le capacità offensive delle sue Forze Armate; la ricostruzione di un fronte comune con SIRIA, GIORDANIA e IRAQ.
Ricominciò così il corteggiamento dei sovietici che promisero aiuti.
L’accordo invece con i siriani non era facile perché questi mal digerivano una guerra che non avesse come obiettivo la distruzione totale di Israele e, con la GIORDANIA, ancora più difficile perché HUSSEIN, con la guerra non aveva nulla da guadagnare in quanto anche l’eventuale riconquista della CISGIORDANIA, questa sarebbe andata ai palestinesi per la costituzione del loro stato.
Per raggiungere il suo scopo SADAT riallacciò perfino i rapporti con l’ARABIA SAUDITA interrotti da anni e prese contatti con tutti gli STATI ARABI (sopportando anche GEDDAFI che ormai si atteggiava a primo leader del mondo arabo).
All’inizio di settembre del ’73 si tenne al CAIRO una serie di riunioni con i diversi capi degli stati arabi, per concordare, nella massima segretezza, i particolari della nuova guerra.
10. Elementi fondamentali per il successo dell’operazione militare erano: attacco di sorpresa per togliere l’iniziativa agli israeliani ed evitare il ripetersi di quanto accaduto nei due precedenti conflitti; attacco simultaneo da nord e da sud per costringere Israele a ripartire le forze.
Intanto a Tel Aviv com’era valutata la situazione?
11. Il primo ministro GOLDA MEYR, succeduta ad ESCKOL dopo la sua morte, in considerazione degli straordinari successi di cui stava godendo il Paese a seguito della vittoria del 1967 aveva permesso che si abbassasse la guardia.


12. “La calma regna sulle rive del CANALE DI SUEZ,” aveva affermato “così come nel deserto del SINAI, nella fascia di GAZA, in GIUDEA in SAMARIA e sul GOLAN. Le linee sono sicure. I porti sono aperti, GERUSALEMME è unificata e la nostra situazione politica è stabile.”.
Inoltre il sostegno pressoché scontato degli STATI UNITI rendeva gli Israeliani del tutto indifferenti all’isolamento internazionale da parte degli altri stati occidentali; dai quali, a causa della loro dipendenza dal petrolio dei paesi arabi, non c’era da aspettarsi, in ogni caso, alcuna solidarietà.
Tuttavia, abbassare la guardia non significava rinunciare alle opzioni militari, che ISRAELE sapeva di dover tenere sempre sugli scudi.
Il suo esercito, formato per la maggior parte di riservisti, era in grado di essere mobilitato (grazie ai sistematici e frequenti periodi di richiamo ed addestramento), in 48 ore ed alcune brigate di paracadutisti e carristi riuscivano a farcela in 24 ore dato che i militari che le costituivano provenivano dalla stessa città o dallo stesso comprensorio.
Inoltre il servizio informativo consentiva allo stato ebraico, solitamente, di conoscere in anticipo le mosse del nemico e prevenirlo.
Ed ecco il punto: solitamente.
In quel tempo però, il servizio informazioni israeliano considerava prioritaria la lotta al terrorismo, e sottovalutava le mosse di SADAT, che non veniva ritenuto in grado di andare più in là di semplici provocazioni. In quelle circostanze poi i servizi di spionaggio sovietici furono molto abili a depistare quelli israeliani facendo loro credere, come del resto all’opinione pubblica mondiale, che gli arabi fossero ancora lontani dall’essere pronti per una guerra, per di più offensiva.
13. Nei mesi che precedettero l’attacco, gli egiziani effettuarono una lunga serie di esercitazioni sul canale, che inizialmente furono prese sul serio dagli israeliani, ma poi divennero così abituali che la vigilanza venne progressivamente allentata.
Anzi la spesa sostenuta ogni volta per mobilitare le riserve fu giudicata troppo alta e si richiese una maggiore cautela nel dare credito a falsi allarmi cioè di gridare spesso “ al lupo, al lupo”.
A poco valsero gli avvertimenti degli STATI UNITI, basati sui rapporti della C.I.A. secondo i quali l’EGITTO si stava preparando ad una guerra.

13b. In Israele si temeva soprattutto il fronte siriano dove non c’erano ostacoli naturali come il CANALE DI SUEZ e dal GOLAN si poteva arrivare facilmente nel cuore di Israele.

Ed ecco la pianificazione operativa delle due parti.

Israele era predisposto ad una eventuale guerra in difensiva. La classe politica era convinta che lo Stato di Israele non poteva più permettersi di apparire come “aggressore” e d’altro canto i nuovi confini strategici, in particolare verso l’Egitto non imponevano la prima mossa.
La guerra di attrito o di logoramento, che abbiamo visto sul finire degli anni ’60, aveva dato ad Israele una falsa sensazione di sicurezza.
Inoltre, i duelli aerei tra i MIG 21 egiziani e gli aerei israeliani avevano convinto i responsabili di TEL AVIV che in cielo la loro aviazione era imbattibile.
14. L’esercito di Israele contava di trattenere un eventuale primo attacco egiziano attraverso una linea di ridotte fortificate, capisaldi, bunker e terrapieni lungo il CANALE DI Suez.
Fermata o rallentata l’ipotetica ondata offensiva nemica, i riservisti sarebbero arrivati ed avrebbero eliminato eventuali penetrazioni nel SINAI.
La strategia si era concretizzata nella costruzione della cosiddetta “linea BAR LEV” dall’ideatore Gen. CHAIM BAR LEV Sottocapo di S.M. delle Forze Armate israeliane costituita a ridosso del canale, da 16 opere fortificate, protette da un alto terrapieno, considerato insuperabile e supportata, inoltre, da un sistema di serbatoi di carburante che avrebbe dovuto consentire di trasformare il CANALE DI SUEZ, in un mare di fuoco, inondandolo con una pellicola di liquido infiammabile da incendiare elettronicamente. Solo che, quest’ultimo sistema, mai provato realmente, nel luglio del ’73 era andato in disuso.

Fortificazione Linea Bar Lev

15. Questa strategia fu contestata da numerosi ufficiali israeliani ed in particolare dal gen. ARIEL SHARON che vedevano il pericolo di utilizzare difese fisse contro reparti altamente mobili.
Inoltre SHARON per non essere stato nominato Capo di S. M. Generale, si era dimesso dal servizio ed era stato tra i fondatori del partito LIKUD (consolidamento).


Moshe Dayan e Ariel Sharon

Stesso concetto di opere fortificate, raccordate da campi minati e reticolati sul fronte del Golan dove era stato realizzato anche un fossato controcarro lungo i 75 Km del confine.
16. Gli STATI ARABI invece avrebbero agito offensivamente.
L’idea di SADAT era quella di rioccupare, come abbiamo detto, una parte del Sinai per poi trattare alla pari con Israele.
Il siriano ASSAD, invece, riteneva di poter riconquistare il territorio del GOLAN ma poi invadere la GALILEA e poi… chissà.
Alla fine, i governi del CAIRO e DAMASCO riuscirono, non senza difficoltà, a concordare un piano e raggiunsero l’accordo, per l’inizio dell’operazione BADR, sulla data 6 ottobre, anche se in pieno Ramadan. Questa data coincideva con il giorno nel quale Maometto aveva iniziato a preparare, nel 623 d.c., la battaglia di BADR grazie alla quale sarebbe entrato alla Mecca.
Discussioni, infine, vi furono fra egiziani e siriani sull’ora di inizio dell’attacco: gli egiziani volevano iniziarlo alle 18 perché a quell’ora gli israeliani avrebbero avuto il sole in faccia, mentre i siriani, per lo stesso motivo, lo volevano all’alba.
Si giunse ad un compromesso per le ore 14, un orario che non serviva a nessuno.
Per contro, nella data del 6 ottobre in ISRAELE si celebrava la festa dello YOM KIPPUR ovvero dell’espiazione, una delle festività più sacre del calendario ebraico: è l’anniversario del giorno in cui Dio concesse il perdono al suo popolo colpevole di aver adorato il vitello.
d’oro ai piedi del MONTE SINAI dove MOSÈ era salito da 40 giorni e dove avrebbe ricevuto le tavole della legge.
Lo YOM KIPPUR è una giornata di completa sospensione di ogni attività lavorativa, di digiuno e di meditazione per avvicinarsi allo stato di purezza degli angeli.
17. Un accenno alle forze contrapposte.
ISRAELE
Nel 1973 poteva contare su 75000 uomini e donne di cui 25000 (1/3) in servizio permanente e 50000 soldati di leva.
Con la mobilitazione dei riservisti arrivava però ad oltre 350 mila.
L’esercito poteva schierare circa 2100 carri armati, 4000 cingolati per trasporto truppa, 500 semoventi di artiglieria.
L’aviazione disponeva di 550 aerei di cui 130 PHANTOM.
La marina aveva 21 motovedette e 5 sommergibili.
EGITTO
L’esercito egiziano impegnava per l’offensiva quasi la metà dei suoi effettivi: circa 500 mila soldati distribuiti fra le 2 armate in 1^ schiera ed unità della riserva.
Disponeva di 1700 carri armati, 2000 mezzi corazzati e cingolati, 4000 pezzi di artiglieria, 150 batterie di missili c/a insieme a 2500 cannoni.
L’aviazione contava 400 aerei da combattimento e 140 elicotteri.
SIRIA
Sul GOLAN, la SIRIA, aveva distribuito in 2 scaglioni le sue forze in prima linea 3 divisioni di fanteria meccanizzata seguite da 2 divisioni carri. in riserva diverse unità di fanteria e corazzate, più una divisione corazzata irachena, una brigata corazzata giordana, ed altre forze del Marocco, dell’Arabia saudita e palestinesi per un totale generale di circa 120 mila uomini, con 1400 carri armati, 800 pezzi d’artiglieria, 100 batterie missili c/a e 300 aerei da combattimento.
Fino all’ultimo gli israeliani, anche a causa dello strettissimo segreto che gli arabi erano riusciti a mantenere sulle loro intenzioni, non dettero una corretta valutazione dei movimenti egiziani e siriani e non modificarono le difese. D’altro canto, nel mese di Ramadan eserciti arabi a digiuno non apparivano molto temibili.
Per ISRAELE, sul fronte del Canale al momento dell’attacco erano presenti 8500 uomini e 250 carri armati; su quello siriano 5000 uomini e 180 carri.
Irrisorie le artiglierie su entrambi i fronti.
Per il resto, il 5 ottobre gli israeliani si concentrarono sulla festività del giorno dopo che prevedeva la virtuale paralisi di ogni attività per 24 ore.
Solo intorno alle 4 del mattino del 6 ottobre, il Capo Servizio Informazione Israeliano Gen. ZE’IRA dette la notizia dell’imminente attacco arabo.
Con la riunione immediata del governo, scaturirono accese discussioni sulla inedita situazione.
Prevalse l’opinione del 1° Ministro GOLDA MEYR che ribadì l’impossibilità di un attacco aereo preventivo, per non risultare di nuovo, agli occhi degli osservatori internazionali, come uno stato “aggressore e guerrafondaio”.
Si decise di predisporsi per un contrattacco e di evacuare i civili dal GOLAN. Solo che le informazioni ricevute parlavano di un inizio dell’attacco alle ore 18 e non alle 14.
18 Tutti i comandanti furono avvisati ed il Gen. ELAZAR Capo di S.M. chiese la mobilitazione immediata.
Il Gen. DAYAN Ministro della Difesa non era molto convinto e la propose solo per 2 divisioni.


Il Gen. ELAZAR d’iniziativa ordinò la immediata mobilitazione di 100 mila uomini e venne dato l’ordine che appena riunite le singole compagnie venissero avviate al fronte. Tuttavia a causa dello YOM KIPPUR sia la radio sia la TV erano mute, (la mobilitazione veniva annunciata anche con questi mezzi), e tutte le operazioni si avviarono in ritardo ed addirittura, in alcuni casi le richieste non vennero credute ed eseguite.


Ed ora accenniamo alle battaglie sui due fronti distinti.
19.
GOLAN


L’attacco siriano iniziò, come quello egiziano, pochi minuti prima delle 14. Tre stormi di MIG (circa 100 aerei) e 500 pezzi di artiglieria sottoposero a bombardamento le posizioni israeliane più avanzate per circa 50 minuti.
Poi mossero le 3 divisioni in 1^ schiera: la 7^ A NORD che attaccò il MONTE ERMON, la 9^ al centro e la 5^ a SUD.
Il piano prevedeva una doppia manovra avvolgente da NORD e da SUD: obiettivo i ponti sul fiume GIORDANO.
20. Le 2 Brigate israeliane che le fronteggiavano si batterono disperatamente e riuscirono a ritardare fino a sera il superamento del fossato anticarro.
Fu una battaglia selvaggia. Gli israeliani sapevano di non poter cedere terreno e quindi resistevano anche quando venivano superati. La tattica di sfondamento e prosecuzione senza preoccuparsi dei centri di fuoco sopravvissuti questa volta, 
21. per i  siriani non fu pagante perché l’abilità dei puntatori dei carri israeliani CENTURION era straordinaria ed i mezzi corazzati siriani ebbero perdite enormi.
Gli israeliani nell’attesa dell’arrivo dei riservisti furono costretti ad impiegare massicciamente l’aviazione. Ma se era relativamente facile abbattere i MIG di Damasco, non si riusciva però ad effettuare le operazioni di attacco al suolo. Infatti quando gli aerei israeliani cercavano di abbassarsi per colpire le forze corazzate siriane, venivano accolti da un efficace sbarramento contraereo di missili SAM sovietici e pagarono un pesante tributo.
22. Mentre a NORD ed al CENTRO i progressi siriani sono significativi ma contenuti, (la 7^ Brigata israeliana ha messo fuori combattimento oltre 200 carri), a Sud la 5^ Div. Meccanizzata ha sfondato le difese Israeliane a RAFID e, il Comando Siriano, giustamente, decise di sfruttare il successo inserendo sulla sua scia la 1^ Div. Carri ed una Brigata carri della 3^.
Sono circa 600 carri che avanzano il 7 ottobre.
Gli israeliani, nel settore ne dispongono di una ventina.
Lo stesso comando israeliano a NAFAK è minacciato.
22b. Solo l’intervento delle prime unità carri dei riservisti tampona la situazione. Ma anche gli aerei possono ora dare il loro apporto perché l’avanzata siriana ha portato i suoi carri fuori dalla copertura dei missili contraerei che sono rimasti fermi nella loro dislocazione iniziale.
Nel tardo pomeriggio del 7 pur avendo colpito e fermato circa 400 carri siriani, il quadro rimane preoccupante. Se le truppe di DAMASCO continuano ad avanzare la GALILEA settentrionale è in pericolo.
23. Avviene però un miracolo. Alle 17, ai comandanti siriani viene dato l’ordine di fermarsi e consolidare le posizioni raggiunte.
Non esiste una spiegazione per questo comportamento.
Probabilmente i motivi furono diversi: elevato numero di perdite, difficoltà nei rifornimenti, mancato intervento dei battaglioni drusi libanesi che si rifiutarono di intervenire.
Inoltre i Comandanti di grado più elevato furono chiamati ad un Consiglio di guerra convocato a 40 Km. dietro la linea del fronte a KATAMA.
23b. Nella notte l’arrivo di 2 divisioni corazzate israeliane della riserva consente, l’indomani 8 ottobre, il 1° contrattacco ed il fronte viene stabilizzato. Il 9 ottobre inizia l’avanzata israeliana che benché duramente contrastata ha successo.
24. Il 10 la 1^ Div. Cor. Siriana viene imbottigliata e distrutta.
Ora i siriani iniziano a ritirarsi lasciando sul campo 870 carri armati, migliaia di veicoli e centinaia di cannoni.
Anche gli israeliani però hanno subito perdite pesanti: 250 carri.
A TEL AVIV dopo molte discussioni si decide di superare la linea del 1967 e creare una penetrazione di circa 20 Km., da dove si può bombardare DAMASCO con le artiglierie pesanti.


artiglieria israeliana sul fronte siriano
Ma non si può esagerare per non provocare un intervento diretto della RUSSIA.
L’esercito siriano si schiera a difesa di Damasco e chiede l’intervento degli alleati arabi.
Il 13 ottobre intervengono truppe corazzate irachene. Ma subiscono perdite pesantissime. Interviene anche una brigata corazzata giordana della “LEGIONE ARABA” che mette in serie difficoltà il fianco destro degli israeliani. Ma l’attacco giordano fallisce quando l’artiglieria irachena, priva di collegamento, prese a cannoneggiare i carri di Re Hussein. Non solo, per la mancanza di coordinamento alcuni caccia iracheni vennero abbattuti dai missili siriani che l’identificarono come nemici.
24b. Ormai sul fronte siriano la minaccia era stata respinta ed il 17 ottobre unità corazzate israeliane vengono ritirate ed avviate sul fronte SUD, quello del SINAI.


T62 siriano abbandonato sul Golan

FRONTE DEL SINAI.



25. L’operazione del forzamento del Canale di Suez e della costituzione di teste di ponte sulla riva orientale era stata lungamente pianificata. La 2^ e la 3^Armata erano schierate e pronte a muovere.
Qualche minuto prima delle ore 14, 200 caccia bombardieri egiziani attaccano le posizioni israeliane ma i danni sono lievi ed una quarantina di essi vengono abbattuti.
Il bombardamento d’artiglieria invece risulta molto pesante. 2 mila pezzi, solo nel 1° minuto rovesciano oltre 10 mila colpi sulle postazioni israeliane e contemporaneamente gruppi di “COMMANDOS” attraversano il canale sotto il fuoco israeliano, intenso solo in alcuni tratti.
Appena preso terra i “COMMANDOS” scalano il terrapieno e posizionano i loro missili controcarro.
Alle 14,30, 4 mila uomini su oltre 700 battelli pneumatici attraversano il canale. Una parte attacca le fortificazioni, altri si spingono avanti e raddoppiano lo schieramento c/c.
Armi e materiali sono trasportati su strani carrelli che gli uomini spingono sui bastioni sabbiosi.
Per la cronaca le ruote sono quelle degli “scooter” italiani VESPA.
26. Dopo pochi minuti parte la 2° ondata e quindi una terza.
Per aver ragione del terrapieno di sabbia e far affluire armi pesanti e cingolati, vengono usate lance ad acqua i cui getti ad altissima pressione sciolgono la sabbia ed aprono passaggi.
Alle 16,30 25 mila soldati sono oltre il canale ed hanno formato 5 teste di ponte.

la bandiera egiziana issata sulla riva israeliana del canale

27. Intanto si stanno costruendo 10 ponti prefabbricati e l’attraversamento, che gli egiziani avevano valutato, costasse, diverse migliaia di morti e feriti, ha causato la perdita di solo 200 uomini.



Trasportati da elicotteri, che nella quasi totalità vengono abbattuti, i sopravvissuti verranno dispersi ed eliminati.
28. Tutti i fortini della BAR-LEV sono attaccati ed isolati e la 252^ Div. Carri israeliana che cerca di contenere la progressione nemica e dare manforte alle guarnigioni dei fortini, perde in breve, a causa dei missili c/c filoguidati, russi circa 150 carri.


M60 israeliano colpito nel Sinai

E’ un’altra sorpresa per gli israeliani che fino ad allora avevano ritenuto il carro la migliore arma c/c. Invece, contro consistenti schieramenti di missili c/c sarebbero stati indispensabili estesi concentramenti di artiglieria. Ma Israele dispone di pochissimi semoventi ritenendo l’artiglieria poco utile ed ora paga il fio di questa errata valutazione.
Come stava succedendo sul fronte siriano, anche l’impiego dell’aviazione sul Canale, non trovò i MIG egiziani ma dovette fare i conti con i missili c/a schierati in gran copia e su più linee sulla sponda egiziana.
Il giorno 7 le teste di ponte egiziane si erano collegate ed ingrandite ed ora ne risultavano 3 principali, ampie ciascuna una ventina di Km. e profonde fino a 3 nelle zone di EL QANTARA, DEVERSOIR e TEWIQ.
Richiamato in servizio in tutta fretta, il Gen, SHARON, al quale fu affidata una divisione corazzata della riserva, propugnò immediatamente un contrattacco in forze, mentre DAYAN propendeva per un ripiegamento strategico fino alle alture del SINAI il che significava lasciare che le guarnigioni dei fortini cadessero prigioniere.
Questo orientamento, contrastava con la regola più importante dell’esercito israeliano e di cui ARIEL SHARON era uno dei più autorevoli fautori: “un uomo che sa che i suoi commilitoni rischieranno la vita in 10, in 100 per lui, non avrà mai paura del combattimento”.
28b. Il tentativo di contrattaccare tutte le penetrazioni egiziane non dette i risultati sperati perché le forze vennero disperse e subirono forti perdite dai missili c/c egiziani.
Tra i comandanti delle forze israeliane scoppiarono violenti contrasti. Mentre il Capo di S.M. Gen. ELAZAR ed il Comandante del fronte Sud Gen. SHMUEL GONEN ritenevano di dover attaccare in diversi punti lungo il CANALE in modo da riguadagnare tutto il terreno perduto, 
29. altri generali, come SHARON ritenevano che si dovesse concentrare lo sforzo in un solo settore, per attaccare in profondità lo schieramento nemico, facendolo crollare poi per aggiramento.
Nei giorni successivi la situazione rimase confusa, fra gli attacchi egiziani che tentavano di ingrandire le teste di ponte e gli israeliani che contrattaccavano in ordine sparso senza riuscire a capovolgere le sorti del conflitto.
E le grandi potenze cosa facevano?
30. Nel maggio dell’anno prima, il 1972, NIXON e BREZNEV avevano firmato un accordo in base al quale si affermava che: “gli STATI UNITI e l’UNIONE SOVIETICA hanno una responsabilità speciale, quella di fare tutto ciò che è in loro potere per evitare conflitti che rischierebbero di accrescere la tensione nel mondo”.
Ora mentre il Segretario di Stato KISSINGER era convinto che meno gli STATI UNITI avessero fatto a favore di ISRAELE e più l’UNIONE SOVIETICA avrebbe apprezzato il loro atteggiamento, i sovietici non solo avevano riarmato l’EGITTO e la SIRIA ma, sin dai giorni precedenti il conflitto (la RUSSIA conosceva la data di inizio della guerra) avevano messo in atto un ponte aereo in favore di DAMASCO e del CAIRO capace di recapitare ai belligeranti fino a 600 tonnellate di materiali al giorno.
31. Dopo quasi una settimana di combattimenti, la situazione vedeva le forze egiziane attestate saldamente sulla riva orientale del CANALE con 2 teste di ponte:
a NORD con la 2^ armata lungo il CANALE per 87 Km., e profonda circa 5÷8 Km. all’altezza di EL QANTARA. A SUD con la 3^ armata lungo 75 Km. e profonda 15 Km..
Però tra le 2 teste di ponte, all’altezza del GRANDE LAGO AMARO c’era una soluzione di continuità, quasi un buco ampio 8 Km.
Tra i comandanti israeliani ormai, era prevalsa la soluzione SHARON: fare massa in una sola direzione e se possibile portare le proprie forze al di la del CANALE.
Il cessate il fuoco poteva essere imposto in qualsiasi momento ed era vitale per Israele non farsi trovare in posizione militare sfavorevole.
Il piano di SHARON dovette comunque aspettare: sia perché gli STATI UNITI non si decidevano a fornire i rifornimenti richiesti, sia perché in quelle ore era in atto la battaglia decisiva sul fronte NORD, sul GOLAN, che (come abbiamo visto) rappresentava ancora il confine più critico per Israele.
Il giorno 13 KISSINGER era riuscito ad ottenere dalla RUSSIA l’assenso ad un “cessate il fuoco”, ma grande fu la sua meraviglia quando si sentì rispondere, che SADAT non ne voleva sapere. (Il motivo c’era).
32 Secondo quanto previsto dal piano originario del CAIRO, il 14 ottobre infatti, doveva iniziare la 2° fase dell’offensiva tendente ad espandere il controllo nel SINAI e raggiungere eventualmente l’area dei passi di GIDDI e di MITLA.
A questo punto KISSINGER non potè più ignorare che il ponte aereo sovietico era di dimensioni inaudite e, sotto la spinta di una consistente parte del CONGRESSO degli STATI UNITI, aderì alla richiesta di Israele ed autorizzò la costituzione di un ponte aereo fra le basi statunitensi in EUROPA e TEL AVIV.
La rappresaglia dei paesi dell’O.P.E.C. non si fece attendere.
Il 17 ottobre fu annunciata una riduzione nella produzione del greggio, e subito dopo l’embargo totale nei confronti degli STATI UNITI.
E fu la 1° crisi petrolifera mondiale.
Il 14 iniziò il tentativo di avanzata egiziano.
Dopo un’ora di fuoco di preparazione effettuato da aerei egiziani,iracheni, libici ed artiglierie, su un fronte di 150 Km., furono lanciati 120mila uomini, 1200 carri e 14 batterie di SAM sovietici.
Gi israeliani opposero 70mila uomini ed 800 carri.
Nel complesso su questo campo di battaglia si trovò un numero quasi doppio di mezzi pesanti rispetto ad EL ALAMEIN ed inferiore di poco alla più grande battaglia di carri, quella di KURSK sul fronte russo nella 2^ GUERRA MONDIALE.
Ora però le forze corazzate egiziane si muovevano fuori dall’ombrello protettivo sia dei missili c/a ed in parte anche di quelli c/c e quindi dovettero ingaggiare le forze corazzate di Israele nel classico combattimento carro contro carro.
Qui la superiorità degli equipaggi israeliani era evidente.
In poche ore 500 mezzi corazzati egiziani furono messi fuori combattimento contro la perdita di 40 carri israeliani.
33. Il vero punto di svolta avvenne tuttavia, nella notte fra il 15 ed il 16 ottobre con l’attuazione da parte israeliana dell’”OPERAZIONE GAZZELLA” affidata alla forze assegnate al Gen. SHARON: 3 Brigate corazzate di 100 carri ciascuna ed una Brigata paracadutisti.
Compito: costituire una testa di ponte in territorio egiziano attraversando il CANALE all’altezza della cerniera fra le 2 Armate egiziane, appena sopra il GRANDE LAGO AMARO.
Subito dopo, sarebbero affluite le forze del Gen. ADAN che avrebbe puntato a SUD alle spalle della 3^ Armata egiziana, mentre lo stesso Gen. SHARON si sarebbe diretto a NORD alle spalle della 2^ Armata.
SHARON non si ritenne vincolato da tabelle di marcia come pretendeva il suo superiore Gen. GONEN e dette un’interpretazione del tutto personale degli ordini ricevuti.
Appena i paracadutisti arrivarono al CANALE, SHARON resosi conto che la contrapposizione egiziana era pressoché nulla ordinò immediatamente l’attraversamento, utilizzando i cosiddetti 34 “coccodrilli”, veicoli anfibi francesi adatti sia per il trasporto sia come elementi di ponte.



All’alba del 16 ottobre, i paracadutisti e poco più di una decina di carri israeliani erano sul suolo egiziano. Dopo un paio d’ore la testa di ponte era di 5 Km.. SHARON era dell’idea di puntare verso IL CAIRO ma GONEN lo fermò, perché l’alimentazione delle forze sul suolo egiziano non era sicura.
Il contrasto fra i 2 generali (GONEN era il superiore diretto di SHARON)era continuo e si rifletteva anche sull’uso dei “coccodrilli” che SHARON pretendeva di usare come zattere per portare rapidamente quanti più uomini e mezzi possibili al di la del CANALE, mentre GONEN insisteva perché venissero utilizzati per la costruzione di un ponte in attesa dell’arrivo della Divisione del Gen. ADAN.
35 SHARON comunque non rimase fermo, allargò la testa di ponte e puntò verso Nord con poche forze corazzate, spazzando via tutto ciò che incontrava prima di essere richiamato indietro.
In realtà nell’area di attraversamento si accesero violenti scontri per l’arrivo di forze della 16^ Div. di fanteria e della 21^ Div. Carri egiziane, le quali nella zona della cosiddetta “fattoria cinese” fecero il possibile per fermare l’afflusso dei mezzi israeliani.
Tuttavia, benché (come aveva previsto SHARON) il ponte appena costruito dal Gen.GONEN fosse diventato un colabrodo, per gli interventi dell’aviazione e dell’artiglieria egiziane, iniziò il passaggio della Divisione ADAN sui “coccodrilli” in funzione di zattere.
Il comando egiziano, fortemente centralizzato e lontano dal luogo di combattimento, non aveva ben compreso quello che stava succedendo. Dai confusi rapporti che riceveva, ritenne si trattasse di un semplice raid israeliano e per diverse ore non vi dette molto peso.
Non solo, quando il Capo di S.M. Gen. SA’D AL-SHAZLI si accorse del pericolo ed ordinò un contrattacco in forze, le disposizioni e gli ordini dovettero passare attraverso una lunga trafila burocratica prima di arrivare ai reparti, e quando arrivarono, a causa dei ritardi, la situazione sul fronte dei combattimenti non era più quella che aveva originato gli ordini e quindi gli stessi ordini non erano più validi.
Questo non accadeva per le unità israeliane, sia per la presenza in linea dei comandanti, sia perché gli stessi comandanti ad ogni livello agivano di iniziativa, anche se talvolta come nel caso del Gen. Sharon, al limite dell’insubordinazione.
L’arrivo delle forze israeliane al di là del Canale ebbe anche un effetto decisivo sulla guerra aerea, perché ora i carri di Sharon attaccavano e distruggevano con facilità le batterie c/a egiziane e gli aerei israeliani potevano intervenire sempre più agevolmente in appoggio ravvicinato.
La posizione d’Israele era decisamente migliorata, non solo per l’avanzata di Sharon, ma anche perché il ponte aereo degli americani riversava ora tonnellate di materiale che compensava largamente le perdite dei mezzi dei primi giorni degli scontri.
A questo punto i sovietici che pure alimentavano massicciamente il loro ponte aereo, anche a causa della piega che stava prendendo la situazione sul fronte siriano, mobilitò i suoi reparti d’assalto aeroportati facendo circolare la voce di un possibile intervento diretto a fianco dei siriani.
36 Nella notte fra il17 ed il 18 ottobre,, la Divisione di ADAN completò il passaggio del CANALE e puntò a SUD per l’accerchiamento della 3^ Armata egiziana.
SHARON scalpitava per puntare verso NORD, ma il Gen, GONEN pretese la riconquista dell’opera fortificata israeliana “MISSOURI” per allargare l’area di alimentazione.
L’attacco avvenne nel pomeriggio del 21 ma avendo impiegato una sola Brigata, l’azione fallì e vi furono forti perdite.
GONEN pretese che l’attacco venisse ripetuto con forze maggiori e SHARON si rifiutò, asserendo che il suo vero obiettivo era l’accerchiamento della 2^ Armata e non di fermarsi per riconquistare una postazione.
37 L’intervento di DAYAN Ministro della Difesa mise fine alla diatriba definendo “aberrante” l’ordine di GONEN ed autorizzando SHARON di procedere verso ISMAILIA.
Ma ormai le attività diplomatiche si erano fatte più serrate.
38 SADAT, come NASSER nel 1967, era rimasto all’oscuro della drammatica situazione in cui si stavano trovando gli egiziani e solo, a seguito di un viaggio di KOSSIGHIN al CAIRO, che mostrò al RAIS le foto satellitari con le posizioni di vantaggio degli israeliani, diventò subito più disponibile.
L’accordo russo-statunitense per la cessazione del fuoco fu approvato dal CONSIGLIO di SICUREZZA dell’O.N.U. il 22 ottobre con la forte opposizione di ISRAELE, le cui forze a SUD avevano superato la città di SUEZ ed al momento del cessate il fuoco, alle ore 19 sempre del 22 ottobre: erano ad 80 Km. dal CAIRO; avevano conquistato 1200 Km² dell’Egitto contro i 600 degli egiziani nel SINAI la 3^ Armata egiziana di oltre 30mila uomini era completamente accerchiata e divisa in sacche.
Nella notte sul 23 il Comandante egiziano della 3^ Armata tentò di riprendere i combattimenti per spezzare l’assedio.
L’azione non riuscì ed anzi consentì ad Israele di proseguire verso SUD conquistando il porto di ADABIAH.
KISSINGER che non voleva l’umiliazione degli egiziani ed anche per non indispettire i russi riconvocò il CONSIGLIO di SICUREZZA che approvò un nuovo “cessate il fuoco” per le ore 7 del 24 ottobre e che fu accettato anche dalla SIRIA.
La RUSSIA chiese di inviare truppe sovietiche e statunitensi per far rispettare la tregua, ma lo scopo vero era quello di evitare la resa degli egiziani accerchiati senza viveri e senz’acqua; nelle mani degli israeliani. Gli STATI UNITI si opposero fermamente e fu concordato l’invio di CASCHI BLU.
38b La guerra poteva dirsi conclusa e sulla vittoria di ISRAELE non c’erano dubbi. Ma il fatto che gli egiziani fossero riusciti ad invadere il SINAI e mettere inizialmente in crisi gli israeliani salvava l’onore militare dell’EGITTO.
In Israele, il mito dell’invincibilità delle sue forze armate, era stato duramente scalfito e seppure alla fine esse erano giunte alla vittoria,nella fasi iniziali della campagna avevano rischiato il collasso.
Venne nominata una Commissione d’inchiesta, la COMMISSIONE AGRANAT e furono riscontrati, nell’impiego delle FORZE ARMATE gravi errori, definiti quasi fatali nei servizi di informazione e sicurezza e nelle scelte del governo.
I responsabili ne pagarono le conseguenze.
Nel maggio del ’74, GOLDA MEYR fu costretta a dare le dimissioni ed il laburista YITZAK RABIN formò un nuovo governo senza DAYAN e senza ABBA EBAN.
SADAT fu più illuminato e pragmatico. Il suo progressivo distacco dalla RUSSIA coincise con un sempre più concreto avvicinamento al blocco occidentale ed agli STATI UNITI che si tradusse nel novembre del 1977 in una visita in ISRAELE, per instaurare un rapporto diretto con il grande nemico di quattro guerre.
39 Fu un grande evento che portò alla ratifica degli accordi di pace a CAMP DAVID negli STATI UNITI nel settembre del 1978.
39b Si procedette su 2 linee distinte:
disimpegno di ISRAELE dal SINAI (avvenuto nell’82) e riconoscimento di ISRAELE da parte dell’EGITTO; avvio di procedure per conferire uno status autonomo ai territori destinati ai palestinesi: la striscia di GAZA e la CISGIORDANIA.
Il trattato però impegnava solo l’Egitto e non fu accettato ne dai palestinesi ne dagli stati arabi, e che anzi espulsero l’Egitto dalla Lega Araba, dove rientrò solo a fine anni ’80 col declino dell’Unione Sovietica.
40 Sadat pagò con la vita la sua apertura ad Israele.
Il 6 ottobre 1981 durante la parata militare per l’anniversario della guerra fu ucciso in un attentato effettuato da fondamentalisti islamici facenti capo ai FRATELLI MUSULMANI contrari ad Israele ed alla modernizzazione del paese.
ISRAELE, ora non doveva più temere per i suoi confini occidentali. Il centro d’attrazione si spostava più ad EST dove l’Iraq di SADDAM HUSSEIN tentava di raccogliere l’eredità di NASSER nel sostenere il terrorismo palestinese e contrastare le richieste, e l’invadenza occidentale per il petrolio.
Di quello che è successo poi nel M.O. siamo stati e siamo tutt’ora testimoni.
41 Al di la del riconoscimento di ISRAELE da parte dell’EGITTO e della GIORDANIA i problemi già esistenti 40 anni fa nel M.O. sono rimasti sostanzialmente gli stessi. Creazione di uno Stato palestinese Status di GERUSALEMME: dichiarata eterna ed irrinunciabile capitale di Israele ma culla e depositaria di Luoghi santi di 3 religioni: ebraica, cristiana, musulmana; Riconoscimento, vero, accettato, indiscusso del diritto all’esistenza di ISRAELE.
Finito il regime di SADDAM HUSSEIN, è in atto in IRAQ una guerra civile dove il fondamentalismo islamico riesce a trovare una palestra quanto mai agevole per mantenere sempre viva la lotta contro tutto ciò che l’occidente rappresenta ai loro occhi: la democrazia, l’uguaglianza fra uomini e donne, la libertà di pensiero e di religione.
Fondamentalismo facilitato anche dall’atteggiamento ambiguo e spesso cinico e talvolta connivente di qualche potenza europea, e da talune forze politiche. Nell’insieme,per miopi interessi di bottega, in ossequio a ideologie scadute e già condannate dalla storia, e soprattutto in odio verso l’unica vera potenza occidentale gli STATI UNITI, finiscono per mettere sullo stesso piano: l’attentato terroristico sferrato da chi disconosce il diritto di Israele all’esistenza e la reazione militare di chi difende il proprio diritto alla vita. E nella condanna indistinta della violenza e nell’appello generico alla pace si finisce di fatto per legittimare il terrorismo arrivando a nobilitarlo come “resistenza” all’occupazione, riferita anche ai nostri soldati.
In questo clima saturo di disinformazione, la realtà viene mistificata ed i pregiudizi ideologici finiscono per fare da cassa di risonanza ai deliranti proclami di capi fondamentalisti che chiamano i popoli arabi alla guerra santa contro “i crociati” e l’occidente,previa cancellazione di ISRAELE dalle carte geografiche.
Questo è il momento che stiamo vivendo e del quale inoltre non si intravede la fine.
Per completare questa rievocazione proponiamo anche il seguente documentario